7 maggio 2025 08:53
Sulla carta, siamo i primi nell'economia circolare e nel riciclo dei rifiuti.
Purtroppo, dietro a questa facciata, vi sono ostacoli che impediscono alle imprese il corretto svolgimento del loro lavoro, che sembrano messi lì proprio da chi ci decanta come i migliori, ma senza fornire alcun tipo di supporto o di miglioramento.
La situazione non migliora affatto se si guarda alle intenzioni della Commissione europea e ai relativi piani che l’Italia spesso subisce passivamente: nel nostro Paese, infatti, riceviamo imposizioni dall’alto, che costringono le nostre filiere produttive a un adattamento con continue spese a loro carico. L’Italia pedala su una bici in super fibra di carbonio, ma con le ruote quadrate... e spera anche di arrivare prima!
Uno degli impegni vincolanti della normativa UE sul clima punta a rendere l'Europa il primo continente al mondo a impatto climatico zero. Il Green Deal europeo ha indicato la strada da seguire per realizzare questa profonda trasformazione, un cambiamento che avrebbe dovuto comportare numerosi vantaggi: la creazione di nuove opportunità di innovazione, investimenti e posti di lavoro verdi, con un incremento di salute e benessere. Annunciando il Green Deal, la Presidente della Commissione l’aveva paragonato allo sbarco sulla Luna e all’inizio di un viaggio di cui ancora non si conoscevano tutte le risposte.
Tutti gli Stati membri erano concordi a far diventare l'UE il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Per raggiungere questo traguardo, hanno preso l'impegno di ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Per raggiungere l’obiettivo fissato, ancora nel luglio 2021, la Commissione europea ha proposto il pacchetto Fit for 55 (in italiano “Pronti per il 55 per cento”), una serie di proposte legislative che illustrano come l’UE intende raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni; negli ultimi anni queste proposte sono state esaminate e modificate dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE.
Ma come sta procedendo questo Green New Deal? Non proprio così bene: secondo un report dell’Agenzia europea per l’ambiente, che analizza molteplici elementi (energie rinnovabili, riduzione delle emissioni di CO2, riduzione della mole di imballaggi e rifiuti annessi), l’Unione europea, molto probabilmente, non riuscirà a raggiungere gran parte dei suoi obiettivi climatici entro il 2030.
Alla base del fallimento sul Green Deal c'è stato un mutamento nelle priorità dell'agenda europea; secondo molti osservatori, infatti, esso non solo non ha protetto l'ambiente, ma minaccia di colpire imprese, case e posti di lavoro. Nel breve arco di una legislatura, il Green Deal ha attraversato i cieli d’Europa come una meteora: a provocarne l’inabissamento sono stati però in prima battuta l’emergenza sanitaria generata dalla pandemia da Covid, poi la crisi delle forniture di combustibili fossili, quindi l’inflazione, la recessione produttiva e persino le accise sul diesel dei trattori; infine è arrivato il conflitto russo-ucraino.
Rispetto alle elevate ambizioni con cui era iniziato il mandato sia del Parlamento europeo che della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, Bruxelles e i governi europei hanno fatto marcia indietro su numerosi aspetti.
Da un lato, molte risorse che erano destinate a contrastare i cambiamenti climatici sono state riversate in altri settori, con un focus particolare sulla guerra in Ucraina e verso l’impegno per contrastare le migrazioni illegali. Inoltre, i commissari ed eurodeputati in quest'ultimo anno hanno deciso di cambiare rotta per ragioni politiche, sottraendosi agli impegni ambientali sottoscritti all'inizio della legislatura.
Secondo l'Agenzia per l'ambiente, inoltre, l'UE non riuscirà a raddoppiare la percentuale di utilizzo di materiali circolari rispetto al 2020.
Tutte queste iniziative a livello comunitario erano sì ben viste per un miglioramento generale dei trend di circolarità a livello di Unione, ma troppo spesso non hanno tenuto conto delle grida di allarme ormai ricorrenti degli operatori del settore, che, con la comparsa di nuovi adempimenti, creano in loro solo confusione e ulteriore incertezza.
Da protagonisti del palcoscenico dell’economia circolare e del riciclo meccanico dei rifiuti, noi italiani ci ritroviamo così in balia di una normativa nazionale ed europea in continuo mutamento, che spesso non raggiunge gli obiettivi prefissati e che ancor più spesso non guarda alle singole aziende e ai singoli imprenditori; così vi sono sempre meno imprenditori italiani disposti a sacrificarsi per fare impresa nel proprio Paese e sempre più fondi pronti ad acquistare i gioielli italiani e il loro know-how per portare le produzioni all’estero.
Dal punto di vista dell’economia circolare e della circolarità ci sarebbe bisogno di una linea di condotta chiara e omogenea a livello comunitario, che non vada a penalizzare un materiale rispetto a un altro e che consenta di mantenere competitività e mercato all’interno dell’Unione, senza discriminazioni fatte a priori, con un’attenzione particolare al tessuto socio-economico dello Stato membro.
Ciò che purtroppo sta accadendo oggi a livello nazionale nella filiera della plastica è che la tendenza dell’UE a normare tutto fa soffrire il settore, lasciando spiragli per distorsioni della concorrenza nel mercato e percorsi per il sorgere di problematiche future.
Con la comparsa di materiali provenienti dall’estero non soggetti alle stesse nostre norme super restrittive e più competitivi a livello commerciale, si sta facendo vacillare il mercato italiano delle materie plastiche, già caratterizzato da importanti criticità.
Qual è il risultato? Da una parte troviamo continue imposizioni che non stanno semplificando il contesto in cui gli imprenditori italiani si ritrovano a operare, dall’altra si trovano avvantaggiati i competitors stranieri, che vivono liberi e felici da tutti questi balzelli normativi, burocratici e senza controlli..
Con il contributo di:
Consorzio C.A.R.P.I.
Tel +39 041 449055
www.consorziocarpi.com
© Polimerica - Riproduzione riservata