23 dicembre 2024 08:58
Il mercato europeo del PET è sotto pressione: prezzi, capacità e margini sono messi a dura prova da fattori concomitanti come bassa domanda, costi energetici crescenti e importazioni extra UE, mentre i futuri requisiti imposti dalle recenti normative UE rischiano di mandare fuori giri anche la dinamica domanda-offerta del polimero riciclato (rPET).
Per fare il punto sulla situazione, abbiamo parlato con Marco Piscitelli (nella foto), fondatore e CEO di International Gate, società svizzera attiva nel trading internazionale di materie plastiche, specializzata proprio nelle resine poliestere, con clienti in 43 paesi e fornitori in una ventina di nazioni.
Come sta andando il mercato del PET in Europa, dal vostro speciale osservatorio, visto che vi occupate di trading internazionale?
Per capire il mercato europeo, bisogna guardare prima a quello asiatico, che sta vivendo una crisi di bassa marginalità, dovuta in parte alla domanda stagnante, in parte a una sovracapacità produttiva concentrata soprattutto in Cina.
L'eccesso di produzione ha difficoltà a trovare sbocchi, sia perché la domanda è debole ovunque, sia perché vengono imposte restrizioni all'export, soprattutto in grandi mercati come Giappone, Europa o Nord America.
Lo stesso vale per altri produttori asiatici come Vietnam, Corea o Pakistan, che si trovano anche a fronteggiare flussi di PET a costi molto competitivi provenienti dalla Cina.
Un'altra criticità dei produttori asiatici è la logistica, che paga le forti tensioni nel Canale di Suez, ma i cui costi si stanno progressivamente normalizzando, anche grazie alle crescenti capacità di trasporto e all'ottimizzazione dei flussi dei container vuoti. I costi faticano però a stabilizzarsi, creando ulteriore incertezza.
I costi di trasporto impattano in modo rilevante sui produttori asiatici?
Un aumento di 1.000 dollari a container, tra Asia ed Europa, si traduce in 40-50 dollari a tonnellata sul costo di trasporto del materiale, che in un settore a ridotta marginalità come la plastica può fare la differenza. Soprattutto se, come in questi mesi, l'euro subisce un deprezzamento nei confronti del dollaro.
L'ultimo aspetto che limita le importazioni dall'Asia all'Europa riguarda la liquidità, poiché occorrono circa 60 giorni tra l'ordine e la consegna e, nel frattempo, i prezzi possono cambiare.
Unendo tutti questi punti, che disegno otteniamo?
Perché sia conveniente per un trasformatore europeo importare PET dall'Asia, il prezzo deve essere molto competitivo, altrimenti non conviene.
Dovrebbe quindi essere vantaggioso produrre in Europa, invece gli impianti si fermano e in alcuni casi addirittura chiudono....
Anche in questo caso le difficoltà sono legate alla debolezza della domanda, che si ripercuote sui prezzi e sui margini, rendendo poco conveniente produrre in Europa.
La domanda di PET grado alimentare è scesa quest'anno tra il 7 e il 9 percento rispetto al 2023, ma viene percepita dal mercato come se fosse scesa del 20%. Aggiungiamo un milione di tonnellate importate dai paesi extra UE e, non dimentichiamo, la crescita del PET riciclato, che fa concorrenza al vergine.
Una linea PET per essere competitiva deve funzionare almeno al 70% della sua capacità, quindi se si possiedono due unità se ne chiude una e si fa funzionare la seconda a piena capacità.
In volumi, quanta capacità produttiva di PET è installata in Europa?
Sulla carta circa 3,3 milioni di tonnellate, se tutte le linee operassero al 100%, ma abbiamo visto che non sempre conviene. Se poi parliamo di produzione effettiva, considerando che il mercato europeo del vergine assorbe circa 3,5-3,8 milioni di tonnellate l'anno e le importazioni valgono circa un milione di tonnellate, il conto è presto fatto e si capisce perché alcuni impianti funzionano a capacità ridotta o divengano improduttivi, rischiando di chiudere.
E quando parliamo di costi e di prezzi?
Il PET prodotto in Europa ha un costo intorno a 1.050 euro a tonnellata, quello proveniente dall'Asia prezza 800 dollari circa al porto d'imbarco, ovvero intorno a 1.000-1.020 euro a destinazione. Un guadagno di 30 euro a tonnellata giustifica il rischio di avere il materiale dopo 2 o 3 mesi dall'ordine o che nel frattempo il margine si sia ulteriormente ristretto? Dipende caso per caso.
La stessa dinamica interessa il PET riciclato?
I prezzi del riciclato sono meno definiti. Possiamo parlare di un prodotto europeo tra 1.600 e 1.650 euro a tonnellata e un granulo di rPET di importazione intorno a 1.500-1.550 euro/ton al prezzo attuale. Qui la convenienza è maggiore, ma c'è anche maggiore incertezza sulla qualità, sui volumi disponibili e sulla rispondenza del materiale alle normative, se destinato ad applicazioni sensibili.
Come mai, allora, l'industria è così preoccupata dalle importazioni asiatiche di PET vergine e riciclato?
I margini sono ormai molto compressi e, di conseguenza, anche 20 o 50 dollari a tonnellata possono fare la differenza tra perdere o guadagnare. Ciò ha portato, per quanto riguarda il vergine, a imporre dazi sulle importazioni da alcuni paesi, non sempre con successo visto che le importazioni non sono diminuite.
Per quanto riguarda il riciclato, il tema è più complesso, perché lo scenario normativo nella UE è in divenire e tutt'altro che chiaro per quanto riguarda il materiale importato, che dovrebbe allinearsi agli standard europei.
Tanto che oggi il riciclato di qualità, destinato per esempio alle bottiglie, viene prodotto ancora quasi esclusivamente in Europa.
L'introduzione di obiettivi obbligatori di riciclato per le bottiglie peggiorerà la situazione sul fronte dell'equilibrio tra domanda e offerta?
Dipende. Se guardiamo alle capacità di riciclo in Europa, i volumi dovrebbero garantire il fabbisogno di riciclato, solo che oggi manca la volontà di pagarlo, considerando il differenziale di prezzo con il vergine. Ritengo che il problema sia il prezzo, non la disponibilità, tanto che il settore tessile lo sta utilizzando.
Dipende anche dall'utilizzo finale: chi produce foglia per packaging compra la scaglia e utilizza il PET riciclato come strato interno, non direttamente a contatto con alimenti. E in questo caso i prezzi sono più convenienti. Il discorso cambia per l'rPET destinato a contatto alimentare.
Possiamo fare qualche stima sui volumi importati?
È molto difficile, visto che i codici doganali non distinguono il PET in granulo tra vergine e riciclato. L'associazione dei riciclatori europei è preoccupata perché dalle loro stime emerge come i volumi importati siano rilevanti. Nel caso del PET grado alimentare, la stima è altrettanto difficile. Ci sono alcuni paesi extra UE che lo producono, come Vietnam, Thailandia o Egitto, ma sono tutti esportatori anche di materiale vergine.
Quindi come si controllano le importazioni, anche in vista di un maggiore impiego di rPET nelle bottiglie?
C'è un problema di controlli e di sanzioni. In Italia siamo ancora molto indietro su questo fronte, rispetto a paesi come la Germania o anche la Spagna.
Come vede l'andamento del mercato nei prossimi mesi?
Ritengo che consumi e prezzi dovrebbero tornare a salire l'anno prossimo, sicuramente nel caso del riciclato, poiché la domanda a livello europeo è destinata ad aumentare per effetto delle normative.
Prevedo che assisteremo anche a una razionalizzazione dell'offerta di riciclato: oggi le aziende di questo settore sono mediamente medio-piccole, non sempre in grado di garantire forniture affidabili per qualità e volumi. Dove è in vigore una plastics tax, che spinge sull'impiego di rigenerato al posto del vergine, si sono già viste concentrazioni, ma anche integrazioni verticali tra produttori di resine e riciclatori. Credo che questa tendenza si consoliderà a livello europeo, anche attraverso acquisizioni, fusioni o la creazione di consorzi.
Una razionalizzazione dell'offerta interesserà anche il PET vergine: mi aspetto la chiusura di qualche impianto in Europa, oltre a quelle già annunciate nei mesi scorsi.
A cura di Carlo Latorre
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