lunedì 9 dicembre 2024
É forte la tentazione di godere delle disgrazie altrui, specie se si tratta di Francia e Germania, con cui ci lega un sentimento 'odi et amo', stratificatosi in secoli di competizioni in armi e affari.
Se l'asse franco-tedesco, che per molti anni ha guidato la crescita economica in Europa, è oggi in difficoltà, l'Italia non è nelle condizioni di beneficiarne e, anzi, ha solo da temere.
In primo luogo perché la nostra dipendenza dall'economia tedesca è sempre più forte, essendo diventati negli anni un importante fornitore della sua industria, ma non solo. Una Francia indebolita politicamente e una Germania in profonda crisi industriale non avranno energie e tempo da dedicare a riformare un Europa che non ha più il senso della sua missione nel mondo, ne la capacità di competere ad armi pari, come il rapporto Draghi ha impietosamente preso atto.
Anche sul Green Deal, che avrebbe dovuto traghettare l'Europa in un'era di prosperità e benessere, incominciano a sorgere dubbi: una visione poco pragmatica — per usare un eufemismo —, che in taluni casi ha indossato gli occhiali della demagogia invece della specola, rischia di consegnare il mercato europeo nelle mani di competitor più spregiudicati, ricchi e dinamici, come il caso dell'auto elettrica ha mostrato.
Il caso dell’auto elettrica è emblematico: mentre in Europa si preferito puntare su proclami e obblighi normativi, la Cina ha costruito dal basso la filiera dell’elettrificazione, partendo dalle materie prime, passando per le batterie, fino ad arrivare ai veicoli elettrici a basso costo. E ora si prepara a inondare il nostro continente con questi prodotti, contro i quali i dazi, nel lungo periodo, si riveleranno inefficaci.
E se l'Italia oggi sembra messa meglio rispetto ai cugini d'oltralpe, non passerebbe a un controllo antidoping, dopo le iniezioni di Industria 4.0, Ecobonus e PPWR, con la prospettiva di accontentarci, in futuro, del 'metadone', come un piano 5.0 che fatica a decollare.