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2016 goes green

lunedì 4 gennaio 2016

Il 2016 per le bioplastiche comincia nel segno dell’ottimismo. Nel medio termine European Bioplastics stima una crescita del 350% con protagoniste le plastiche biobased come PE green e green PET ( non biodegradabili ma da fonte rinnovabile). Tutto questo nonostante un prezzo del petrolio molto basso (probabilmente per tutto il 2016 molto al di sotto dei 50 dollari al barile) che certamente non aiuterà a colmare il gap di prezzo tra plastiche fossili e “green”.

D’altra parte, a sostenere la crescita dei manufatti biobased (non biodegradabili), rimane la possibilità di poter modulare a piacimento - ma entro i limiti del buon senso - la percentuale di rinnovabilità che, ovviamente, va sempre comunicata al consumatore in modo trasparente. Anche l’abbinamento biobased e rigenerato spingerà il mercato. La nota “Plant Bottle”, bottiglia in PET (parzialmente) biobased lanciata da Coca Cola ha attualmente un contenuto rinnovabile fino al 30% (parte MEG mono-etilen-glicole), ma c’è anche una versione con rinnovabilità del 14% poiché prodotta con PET (parzialmente) biobased e PET rigenerato. In questo modo si abbraccia la filosofia del biobased con la pratica esigenza dell’uso di riciclato. Nel frattempo gli sforzi per raggiungere la completa origine vegetale continuano e la scorsa estate all’Expo di Milano è stata presentata una versione della PlantBottle 100% rinnovabile dove, accanto al MEG, si è usato acido tereftalico purificato (PTA) biobased che apporta il rimanente 70% di rinnovabilità.

Proviamo ad immaginare la spinta al mercato se solo il 30% delle bottiglie in PET prodotte in Europa avesse il 14% di contenuto rinnovabile. Oppure se gli imballaggi in polietilene ne contenessero un’equivalente Green per il 30%.

In ogni caso la crescita delle cosiddette “commodities biobased” come appunto il PET potrebbe fornire grande aiuto anche al mondo del compostabile, dove una parte delle molecole hanno ancora una elevata dipendenza fossile.

Dobbiamo sempre ricordare che la biodegradabilità e la compostabilità dipendono dalla struttura molecolare e non dall’origine. Co-poliesteri come il PBAT ( 1-4 butandiolo, acido adipico, tereftalico ), base per la maggior parte dei compound usati nei sacchi e sacchetti compostabili, potrebbero presto ricevere a livello commerciale monomeri green. L’1-4 butandiolo biobased è industrialmente alle porte, l’acido adipico, uno degli intermedi per poliuretani avrà anch'esso una versione biobased per resistere all’attacco della versione green dell’acido succinico. Il terefalico biobased sarà ovviamente trainato dal bioPET.

Se consideriamo invece le plastiche biodegradabili già biobased come il PLA, il 2016 vedrà la sempre maggiore presenza di un secondo produttore capace di stimolare la competizione tecnologica e offrire la “sicurezza” di un secondo fornitore. Le nuove generazioni di PLA termoresistenti potrebbero permettere di sostituire il polistirolo ed il polipropilene in numerose applicazioni come il foodservice. In Thailandia entrerà inoltre a regime la produzione di bioPBS composto da 1-4 butandiolo, (per ora fossile) ed acido succinico biobased. E interessante notare, quindi, come i monomeri in gioco siano abbastanza comuni sia per il biodegradabile che per il biobased (non biodegradabile).

Me perché le bioplastiche cresceranno? Mentre qualche anno fa si parlava di “picco del petrolio” e di vedevano le bioplastiche come una possibile via d’uscita ad un apocalittico scenario di un mondo senza greggio, oggi si parla di bioplastiche come alternativa al petrolio nell’ottica di un contenimento delle emissioni di anidride carbonica.

Nel 2000 un ex ministro del petrolio Saudita Ahmed Zaki Yamani ebbe a dichiarare: “Nei prossimi trenta anni ci sarà una grande disponibilità di petrolio e nessun compratore. Il petrolio sarà lasciato sotto terra. L'età della pietra non finì perchè ci fu una mancanza di pietre, così l'età del petrolio non finirà perchè mancherà il petrolio“.

Se guardiamo agli scorsi 15 anni la predizione non è stata così indovinata anche perché certamente Yamani intendeva riferirsi ai costi di estrazione, che nel tempo sarebbero diventati troppo elevati. Alla luce dei recenti cambiamenti climatici e dei conseguenti enormi costi per riparare ai danni prodotti da inondazioni, smottamenti o siccità è chiaro che le bioplastiche rinnovabili (biodegradabili e non) possono ridurre il loro gap competitivo con quelle fossili nel contribuire a non incrementare troppo velocemente la quantità di anidride carbonica nell’ambiente.

Sarà probabilmente la consapevolezza del cittadino, l'abile marketing delle aziende o una forte presa di posizione dei governi che permetteranno in futuro di lasciare sotto terra quanto più petrolio possibile.

di: Karel Krpan
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