Nei laboratori del NREL sono riusciti a produrre etilene con cianobatteri geneticamente modificati per essere più resistenti.
12 ottobre 2012 06:32
L'utilizzo di processi fotosintetici per produrre gas di etilene da feedstock non petrolchimici non è una novità in senso assoluto: le prime ricerche risalgono a una decina di anni fa, quando un un gruppo di scienziati giapponesi dell'Università di Soyo, guidati da Takahira Ogawa, furono i primi a raggiungere questo risultato utilizzando il cyanobacterium Synechococcus 7942; ma dopo poche generazioni, questo microorganismo si estingue, fermando il processo.
Nei laboratori del NREL, l'agenzia statunitense per le energie rinnovabili, sono riusciti a migliorare la resa modificando geneticamente una famiglia di cianobatteri. Per prima cosa si è dimostrato che il batterio 'potenziato' (Synechocystis sp. PCC 6803) è stabile almeno per quattro generazioni, poi si è verificato se l'etilene così ottenuto fosse facile da separare; infine si è misurata la resa potenziale del processo per uso industriale.
L'etilene viene prodotto all'interno di un fotobioreattore alimentato con acqua di mare arricchita con azoto e fosoforo; essendo un gas, l'etilene raggiunge la parte superiore del reattore dove viene catturato facilmente, in un processo continuo che potrebbe essere integrato a valle con altri processi catalitici in grado di sintetizzare polimeri o biocarburanti.
I risultati della ricerca, pubblicati sul magazine scientifico Energy & Environmental Science, mostrano una resa superiore a quella di altri processi simili, sempre a base di fotosintesi con microorganismi per ottenere etanolo, butanolo o biocarburanti da alghe, con ulteriori possibilità di miglioramento. In laboratorio sono stati infatti ottenuti 170 milligrammi di etilene al giorno per litro di soluzione.
Il processo sviluppato al NREL, non solo non rilascia anidride carbonica in atmosfera, ma la cattura, poiché viene utilizzata dai batteri nel loro ciclo metabolico, insieme all'acqua: vengono così sottratte circa 3 tonnellate per ogni tonnellata di etilene prodotta, mentre negli impianti petrolchimici, ogni tonnellata di etilene genera da 1,5 a 3 tonnellate di CO2. Ciò significa un risparmio potenziale fino a 6 tonnellate di CO2 per tonnellata prodotta.
Jianping Yu, uno dei ricercatori impegnati nel progetto, vede l'innovazione in termine temporale, come un passaggio dagli antichi fotoni - quelli che hanno permesso la formazione, sempre tramite microrganismi, dei combustibili fossili - ai nuovi fotoni, quelli utilizzati oggi da piante, batteri e alghe per produrre direttamente biocarburanti e intermedi chimici.
Secondo Yu, il processo fotosintetico presenta un picco di produttività più alto rispetto ad altre tecnologie, per esempio quelle utilizzate per produrre etanolo, butanolo e isoprene. E sarebbero stati superati anche i problemi legati alla formazione di sottoprodotti tossici, per esempio il cianuro. In termini di stabilità, dopo che la coltura batterica ha raggiunto la sua massima crescita, è possibile che continui a produrre per mesi, come rileva Rich Bolin, un altro membro del team di ricerca: "l'etilene prodotto in modo naturale viene smaltito dall'organismo, stimolando quest'ultimo a produrne ancora".
il NREL sta ora avviando contatti con potenziali partner industriali per lo sviluppo del processo oltre la scala di laboratorio.
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