Autorizzata l'esportazione di gas naturale liquefatto dal terminal di Freeport anche per i paesi non FTA.
20 maggio 2013 07:23
Il Dipartimento per l'energia statunitense (DOE) ha autorizzato l'esportazione di gas naturale liquefatto (LNG) dal terminal di Quintana Island, a Freeport (Texas), anche verso i paesi che non aderiscono al trattato di libero scambio (FTA).
L'autorizzazione è condizionata all'export, per i prossimi vent'anni, di un volume fino a 1,4 miliardi di piedi cubi al giorno (quasi 40 milioni di metri cubi), pari a circa il 2% della produzione nazionale di gas naturale. E' la seconda autorizzazione rilasciata dal DOE, dopo due anni di pausa: nel 2011, era stata infatti approvata l'esportazione di LNG dal terminal Sabine Pass posseduto da Cheniere Energy, per un volume fino a 2,2 miliardi di piedi cubi al giorno.
Il gas a basso costo statunitense sarà destinato soprattutto al Giappone: due utilities del Sol Levante, Osaka Gas e Chubu Electric Power, oltre a BP, hanno siglato un accordo ventennale con il terminal texano. Altri paesi, soprattutto asiatici, sperano ora che analoghe autorizzazioni vengano concesse a terminal diversi (una ventina sono quelle finora richieste al DOE), aumentando così la disponibilità di gas economico sul mercato energetico internazionale.
La decisione dell'amministrazione Obama di aprire i rubinetti del gas naturale non era scontata: negli Stati Uniti è in corso un dibattito sull'opportunità o meno di condividere con altri paesi il vantaggio competitivo derivante dalla disponibilità di gas naturale a basso costo, estratto da giacimenti non convenzionali (il cosiddetto shale gas), utilizzato sia a fini energetici, che come feedstock per produzioni petrolchimiche, tra cui commodities plastiche.
Da una parte ci sono le grandi compagnie energetiche, che intravvedono nell'apertura verso i mercati d'oltreoceano opportunità di profitti, appoggiate dal Governo che spera di ottenere benefici sulla bilancia commerciale del Paese; dall'altra parte della barricata si trovano i gruppi chimici e le industrie manifatturiere, preoccupate che con l'avvio di un massiccio programma di esportazioni i prezzi interni del gas possano lievitare.
La decisione di contingentare le esportazioni, senza precluderle completamente, è quindi il frutto di un compromesso tra esigenze così diverse; per questa ragione è stata accolta con favore da Dow - uno dei principali consumatori di LNG -, che ha parlato di un "passo prudente verso un approccio misurato ed equilibrato alle esportazioni di gas naturale liquefatto, di cui beneficeranno i produttori e i consumatori".
Dow sottolinea comunque che ogni dollaro di gas naturale impiegato nell'industria americana può generare fino a otto dollari di valore aggiunto nel sistema economico, un beneficio superiore alla mera esportazione di combustibili.
L'industria delle plastiche europea guarda con interesse allo shale gas americano, che rischia di mettere fuori mercato le produzioni di commodities basate sulla nafta, nettamente più cara, a partire dall'etilene: Ineos si sta già attrezzando per importare etano dagli USA al fine di alimentare il cracker di Rafnes, in Norvegia.
Anche Versalis (gruppo ENI) starebbe valutando questa opportunità: in un recente incontro con gli analisti finanziari, il CEO della società - Daniele Ferrari - ha affermato che il cracker di Brindisi è sufficientemente flessibile per funzionare ad etano e quello di Dunkerque, in Francia, potrebbe essere adattato per passare dalla nafta al gas.
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