Lo shale gas attrae i nuovi investimenti, che invece languono in Germania per gli alti costi energetici. L’allarme lanciato da VDI.
28 novembre 2013 07:46
La Germania sta diventando sempre meno appetibile per gli investimenti delle imprese chimiche, a causa dei crescenti costi energetici: e se lo afferma l’associazione tedesca di settore, la VCI, che rappresenta oltre 1.600 aziende chimiche con oltre 430mila addetti e un giro d’affari di quasi 190 miliardi di euro, il grido di dolore non può restare inascoltato.
Secondo l’associazione, l’anno scorso le imprese tedesche hanno incrementato del 25% gli investimenti fissi all’estero, per un totale di 7,7 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi in Asia e America Latina (+27%), mentre in Germania hanno mantenuto un livello pressoché stabile, intorno a 6,3 miliardi. Per la prima volta dal 2001, nota VCI, gli investimenti all’estero hanno superato quelli domestici.
Oltre all’Asia, che da anni calamita l’attenzione delle grandi multinazionali della chimica in cerca di nuovi mercati di espansione, anche gli Stati Uniti stanno diventando un paese interessante, ma in questo caso lo stimolo viene dai bassi costi energetici legati allo sfruttamento di giacimenti di shale-gas e shale-oil a basso costo.
Così, negli ultimi tre anni, la chimica tedesca ha investito in Nord America qualcosa come 6,5 miliardi di euro in nuovi impianti o nell’espansione delle capacità esistenti; gran parte di questa ingente somma, 3,2 miliardi di euro, è stata iniettata nell’economia statunitense nel corso del 2012, con un accelerazione del 54% rispetto all’anno precedente.
Per la VCI questi numeri testimoniano l’attrazione che esercitano i bassi costi di materie prime ed energia sulla localizzazione dei grandi gruppi chimici. D’altra parte - sottolinea l’associazione tedesca - i costi dell’energia in Germania sono 2,5 volte più alti che negli Stati Uniti e quello del gas è tre volte più elevato.
Il dito è puntato contro il programma Energiewende, che ha sostenuto la transizione verso le energie rinnovabili scaricando i costi su cittadini e imprese. Il piano del governo tedesco prevede che entro il 2030 il 50% dell’energia provenga da fonti rinnovabili, per toccare l’80% entro il 2050. Un programma ritenuto da molti - soprattutto dagli industriali tedeschi - troppo ambizioso e non sostenibile per il sistema economico.
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