3 novembre 2016 08:10
Fausto Ventriglia - AD di Sandretto e membro del CDA di Photonike Capital, società belga che controlla il costruttore piemontese di presse ad iniezione - ha deciso di rompere il silenzio e ha scelto Polimerica per spiegare le ragioni della messa in liquidazione della società e fare il punto sulla situazione.
Nel frattempo i lavoratori hanno iniziato a ricevere le lettere di licenziamento e picchettano i cancelli dello stabilimento di Pont Canavese bloccando l’uscita di materiali e attrezzature di produzione.
“Prima di tutto mi preme sottolineare che il licenziamento dei lavoratori è frutto del picchetto ai cancelli dell’azienda, che in modo anche violento e intimidatorio ha bloccato tutte le attività, compresa la cessione di beni aziendali (ricambi, rimanenze di magazzino, macchinari non utilizzabili) che avrebbero portato al pagamento di tutti i creditori, compresi gli stessi lavoratori - esordisce Ventriglia -. Presidio illegittimo, ed ora a maggior ragione; infatti chiederemo alle autorità di smantellarlo al più presto”.
Il tribunale di Ivrea si è pronunciato sull’istanza di fallimento e sulla richiesta di concordato preventivo?
"Il 26 ottobre scorso Il Tribunale di Ivrea ha ammesso Sandretto a presentare domanda di concordato preventivo e ha accorpato in un unico procedimento la richiesta di concordato e l’istanza di fallimento presentata dai sindacati, con la nomina di un commissario. Ciò significa che abbiamo 60 giorni per presentare il piano di liquidazione, che nelle nostre intenzioni punterà a soddisfare tutte le richieste dei creditori; nel frattempo l’istanza di fallimento resta congelata.
In base all’accoglimento della richiesta di concordato, valuteremo se proseguire le attività nelle stampanti 3D o fermare anche questa linea di produzione, mentre andrà senz’altro avanti la vendita di ricambi, attraverso la quale contiamo di recuperare le risorse per onorare i nostri impegni. Tenga presente che tra magazzino ricambi, assets produttivi, materie prime e semilavorati abbiamo un valore abbondantemente superiore ai debiti, che sono inferiori a 4 milioni di euro”.
Ora cosa succederà allo stabilimento di Pont Canavese?
"In Piemonte abbiamo trovato un ambiente ostile e non mi riferisco solo ai sindacati; la Regione non ha mantenuto un atteggiamento neutrale, ma si è schierata in modo acritico con i lavoratori, non necessariamente facendo i loro interessi. Per esempio, non ha voluto supportare economicamente la costituzione di cooperative di lavoratori che avrebbero potuto prendersi in carico alcune attività, come i ricambi, pur avendo fondi disponibili per questo scopo.
Riteniamo che la costruzione di presse ad iniezione a Pont sia antieconomica, ma la vendita dei ricambi e la costruzione di stampanti 3D potrebbe essere invece conveniente, a Pont Canavese od altrove. Stiamo anche cercando potenziali investitori che possano portare avanti il progetto della Serie Dieci, la pressa ad iniezione che abbiamo presentato l’anno scorso a Plast e che crediamo possa avere un futuro. La costruzione di questa linea potrebbe essere portata avanti con una struttura più snella, 15-20 addetti, e quindi rivelarsi economicamente conveniente”.
Avete trattative in corso?
“Siamo ancora nella fase di scouting: abbiamo ricevuto manifestazioni d’interesse, ma gli interlocutori non sono stati ritenuti idonei per portare avanti il progetto della serie Dieci".
Una domanda viene spontanea: quando avere acquisito Sandretto, alla fine del 2013, il mercato delle presse ad iniezione era già in crisi, soprattutto in Italia, e in una fase di forte cambiamento. Cosa è cambiato in tre anni per portarvi ad abbandonare il progetto e mettere in liquidazione l'azienda?
“Il progetto Sandretto non era limitato al mercato italiano e le prospettive a livello mondiale non erano così negative tre anni fa. Ma non è soltanto una questione di mercato. Ritenevamo che il marchio Sandretto avesse ancora un forte appeal e avevamo valutato che con vendite annuali intorno a 100-120 macchine di diverso tonnellaggio avremmo potuto sostenere l’attività produttiva con almeno 80-90 addetti. Con possibilità di ampliamenti e reintegri futuri. Entrati in azienda ci siamo resi conto che gli assets produttivi ereditati da Romi erano obsoleti, inadeguati ai nostri piani e che avremmo dovuto investire alcuni milioni di euro per rinnovare completamente il parco macchine utensili, oppure affidarci all'outsourcing. Per questa ragione, alla fine dell’anno scorso, è stato commissionato uno studio alla società di consulenza Ernst & Young per capire quali fossero le prospettive nel breve e nel medio periodo”.
E dallo studio cosa è emerso?
“In sintesi, con gli assets presenti a Pont Canavese e le attuali condizioni di mercato, potevamo puntare a produrre e vendere, nel 2020, tra 50 e 60 presse l’anno, e nemmeno di alta gamma, oltre ai ricambi. Avremmo dovuto investire diversi milioni di euro nell’ammodernamento dello stabilimento di Pont Canavese e sostenere perdite intorno a 1-1,2 milioni di euro l’anno fino al 2020-2022, per un totale di oltre 15 milioni, che si sarebbero aggiunti ai 2,5 milioni di debiti già in essere. Una situazione insostenibile dal punto di vista finanziario. Da qui la decisione di sospendere la costruzione di presse e mettere l’azienda in liquidazione, onde evitare il rischio di una ritardata bancarotta. In altre condizioni avrei potuto mantenere una cinquantina di addetti e continuare le attività.
Vorrei precisare che allo stato di liquidazione non c’erano arretrati da versare ai dipendenti, e il TFR è stato girato all’Inps, quindi non è vero che non abbiamo pagato gli stipendi ai lavoratori”.
Perché avete scartato la possibilità di acquistare basamenti e altri elementi dall’esterno, magari dai paesi asiatici, come ormai prassi comune nel settore?
"Questa ipotesi è stata sottoposta a sindacati e Regione Piemonte all’inizio delle trattative, ma come può intuire avrebbe portato ad una forte riduzione degli occupati. È stata respinta con lo slogan ‘o tutti al lavoro, o nessuno’ e poi ho capito perché: i sindacati non erano interessati a salvaguardare la produzione, ma puntavano a rinnovare la cassa integrazione per altri tre anni. Per questa ragione è naufragata anche l’ipotesi di costituire cooperative tra i lavoratori, a cui avremmo garantito le infrastrutture per continuare l’attività fatto salvo il pagamento dei creditori”.
Cosa conterrà il piano di liquidazione?
"Lo stiamo ancora mettendo a punto, ma la priorità è salvaguardare i creditori, fornitori e lavoratori, mantenendo ‘in bonis' la società. In sostanza prevediamo di pagare i creditori in un arco temporale da stabilire con il piano di concordato attraverso la vendita dei pezzi di ricambio presenti in magazzino e di altri attivi, del valore di diversi milioni di euro. Abbiamo anche macchinari e alcune presse non completate, oltre a 300 stampanti 3D già assemblate, in fase di pre-collaudo. L’azienda, da questo punto di vista, è molto patrimonializzata.
La valutazione sugli sviluppi futuri dell’azienda è ancora prematura, subordinata alla soddisfazione dei creditori e alle decisioni dei giudici a cui è stata affidata la procedura”.
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