24 aprile 2019 09:03
Come noto, la Cina ha chiuso le frontiere ai rifiuti plastici provenienti dai paesi più industrializzati e anche altre destinazioni storiche del Sudest asiatico hanno introdotto forti limitazioni all’import per evitare di essere innondati.
Se ciò ha comportato una drastica riduzione dei volumi per i 21 principali esportatori di questi rifiuti - scesi da 1,1 milioni di tonnellate al mese del 2006 a sole 500 mila tonnellate dell’anno scorso -, il flusso non si è interrotto completamente, ma ha preso altre rotte verso Taiwan, Corea del Sud, Turchia e Indonesia. In questo scenario, l’Italia si colloca all’undicesimo posto tra i 21 paesi esaminati, con un contributo pari al 2,25 per cento di tutti i rifiuti in plastica esportati.
É quanto emerge dal rapporto “Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica” diffuso ieri da Greenpeace, che analizza il commercio mondiale dei rifiuti in plastica con codice doganale 3915 (scarti di lavorazione, cascami, rifiuti industriali e avanzi di materie plastiche), considerando i 21 maggiori paesi esportatori e i 21 maggiori importatori nel periodo compreso tra gennaio 2016 e novembre 2018.
DOPPIO EFFETTO. Secondo Greenpeace, il blocco delle importazioni dalla Cina ha provocato due effetti: oltre a ridurre il volume complessivo dell’export - creando problemi di stoccaggio nei paesi produttori di rifiuti -, ha dirottato i flussi di scarti plastici verso paesi dove le regolamentazioni ambientali sono meno rigorose; soprattutto nel Sud-est asiatico, ma anche in altre nazioni prive di leggi che impediscano le importazioni o di una reale capacità di gestione e riciclo dei rifiuti in plastica. In Italia, si aggiunge anche il crescente fenomeno dei roghi di depositi di rifiuti, principalmente in plastica, che l'associazione ambientalista imputa anche all’eccedenza di questi materiali.
TOP FIVE. Considerando solo i dati relativi ai primi undici mesi del 2018, i principali esportatori di rifiuti plastici sono stati, nell’ordine, Stati Uniti (16,5% delle esportazioni totali), Giappone (15,3%), Germania (15,6%), Regno Unito (9,4%) e Belgio (6,9%). I primi 5 Paesi importatori sono invece risultati: Malesia (15,7% delle importazioni totali), Thailandia (8,1%), Vietnam (7,6%), Hong Kong (6,8%) e Stati Uniti (6,1%).
ITALIA SOLO UNDICESIMA. L’Italia - si legge nel Rapporto - si colloca all’undicesimo posto tra i 21 paesi esaminati, con 197.000 mila tonnellate di rifiuti plastici esportati e un giro d’affari stimato in 58,9 milioni di euro.
Nel corso del 2018 il nostro paese ha trovato nuovi partner per i rifiuti che Pechino non vuole più: tra i Paesi extra Ue, dal 2018 sono in prima linea Malesia (che importa il 20% dei nostri rifiuti con destinazione extraUE, +195% rispetto al 2017) , Turchia (+191%), Vietnam e Thailandia (+770%). Spazio anche alle esportazioni in Europa dove, tra le new entry, si rileva una crescente importanza delle esportazioni verso la Romania e una costante rilevanza del ruolo della Slovenia (sempre più spesso hub per ulteriori spedizioni nel resto del mondo), anche se ai primi posti si confermano Austria, Germania e Spagna, che insieme assorbono il 42,5% degli scarti plastici italiani.
I rifiuti plastici che varcano i confini nazionali sono i cosiddetti “fine nastro”, ovvero le plastiche eterogenee scartate dagli impianti di selezione o che non possono essere riciclate per via meccanica, pur raccolte in modo differenziato. Frutto anche della scarsa qualità della raccolta differenziata, che genera un'elevata quantitò di scarti. Una frazione che in passato veniva spedita in Cina, dove veniva rigenerata in modo più o meno ortodosso (e non sempre sanificata a dovere) per poi finire inglobata in oggetti destinati ai mercati di tutto il mondo. Ora le rotte sono diverse, ma non è minore il rischio di trovare nelle nostre tavole o nella camerette dei bambini imballaggi o giocattoli contaminati con i nostri stessi rifiuti.
Per informazioni: Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica (PDF)
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