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Bolle dal sottosuolo

giovedì 14 gennaio 2016

Con il costo del barile a 30 dollari e la prospettiva di raggiungere i 20 dollari, estrarre petrolio e gas dalle rocce profonde mediante fracking non è più conveniente e sta portando molte aziende del settore al fallimento, con ripercussioni nel lungo periodo non facili da prevedere, ma senza dubbio nefaste per l’economia statunitense.

Investimenti colossali sono in atto nel settore petrolifero e nel dowstream a partire dal petrolchimico, decisi quando il costo del Brent si stimava avrebbe scavallato in breve tempo l’asticella dei 200 dollari al barile, mentre la soglia di redditività minima per i giacimenti non convenzionali si attesta sopra i 50-70 dollari, qualcuno pensa addirittura a 90-100 dollari. Intravvedendo profitti colossali, negli anni scorsi ingenti risorse finanziarie sono state dirette verso società petrolifere a stelle e strisce.

Invece di salire, le quotazioni sono crollate: merito della crisi, che ha ridotto la domanda energetica, dalla crescita delle rinnovabili, ma non sembra estranea la volontà dei big del petrolio di spezzare sul nascere le velleità di indipendenza nordamericane, un paese che l’anno scorso si è scoperto il principale produttore mondiale di gas.

Paradossale il fatto che il boom del manifatturiero USA, creato proprio dalla disponibilità di gas e petrolio a basso costo, sia ora minacciato dalla stessa causa: petrolio ad un prezzo ancora più conveniente.

Non è quindi un caso che il Congresso americano abbia abolito, alla fine dell’anno scorso, il divieto di esportare greggio fuori dai confini nazionali, entrato in vigore negli anni ’70 in seguito al primo shock petrolifero.

In una situazione anche peggiore di quella degli Stati Uniti si trova oggi la Russia, la cui economia è sostenuta proprio dal settore energetico. Mente le sanzioni dell’Europa non preoccupano Putin, che può giocare di sponda con i vicini cinesi, il crollo del prezzo di petrolio e gas mette a dura prova il sistema industriale e finanziario russo. E con l’economia cinese che rallenta, quella russa in crisi e il Nordamerica che potrebbe avere presto problemi, qualche criticità potrebbe nascere anche per le nostre esportazioni.

Di tutta questa abbondanza, gli unici a non beneficiare sono i consumatori italiani, privati e aziende: i costi energetici, gravati da tasse e balzelli, hanno risentito solo in minima parte della caduta del greggio; per dinamiche diverse, anche i costi delle materie prime non hanno seguito la curva delle quotazioni del Brent. Insomma, il rischio è di essere, come si dice a Napoli, ‘cornuti e mazziati’.

di: Carlo Latorre
"Gli articoli in questa sezione non sono opera della redazione ma esprimono le opinioni degli autori"
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