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Upcycling, Recycling, Downcycling... apriamo le menti!

venerdì 13 marzo 2020

L'economia circolare richiede alle imprese di agire oggi e di intraprendere un viaggio che porterà a cambiamenti rivoluzionari nel concetto di prodotto e nel ruolo delle imprese manifatturiere, senza sicuramente dovessi “attaccare” a definizioni restrittive di tutto quello che le brave aziende manufatturiere recuperano al fine di diminuire il consumo di materiale vergine ed evitare l’aumento della quota di rifiuti.

Come ampliamente condiviso dalla comunità tecnico-scientifica internazionale il concetto di riutilizzo nell’economia circolare non abbraccia solo le operazioni di riciclo del recupero ma anche il recupero di risorse che diversamente andrebbero a smaltimento, o ad una tipologia di riciclo che avrebbe sicuramente meno valorizzato il riutilizzo di quella risorsa, in un’ottica di un’economia a rifiuto zero dove qualsiasi prodotto, che venga consumato e poi riciclato, possa dare nuova vita ad un prodotto a minor impatto ambientale.

Ecco perché il concetto di recycling (che in Italia sembra difeso fortemente come processo unicamente correlato al recupero di un codice EER, ex CER) è stato affiancato da più ampie vedute che giustamente fanno parte delle buone pratiche che le aziende attente alla sostenibilità hanno implementato nei loro processi produttivi con enormi sforzi: ne sono validi esempi i concetti di upcycling e dowcycling.

Ma associato al processo di upcycling non troveremo mai un decreto legislativo che dice "upcycling = qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini”, ma troveremo ampiamente condiviso che per l’upcycling si intende “l’utilizzo di materiali di scarto, destinati ad essere gettati, per creare nuovi oggetti dal valore maggiore del materiale originale”. Allora queste aziende, che sono state bravissime a recuperare un materiale o una sostanza di scarto che non gli viene conferita con codice CER non hanno diritto alla medaglia di “recycled”?

Far passare il messaggio che un recuperatore capace di rivalorizzare uno scarto di produzione conferito come rifiuto sia più bravo di uno che invece ha ricevuto lo scarto come sottoprodotto (ad oggi è infatti una scelta del produttore dello scarto come qualificare la materia) è una penalizzazione di tutto il settore, e che quest’ultilmo non possa dare una corretta comunicazione esterna sui quantitativi di materiali reimpiegati internamente dal computo del contenuto di riciclato nel caso in cui usasse uno scarto industriale non conferito con formulario, lo trovo altrettanto controproducente. 

Per quel sistema che dovrebbe anche far capire al legislatore che il mondo si evolve e che le definizioni si devono adeguare alle tecnologie disponibili, soprattutto in una fase in cui il mondo delle materie plastiche subisce continui attacchi a livello mediatico e governativo.

E’ sacrosanto che ad oggi trovino “valore e riconoscimento tutti quei processi e prodotti che consentono di ridurre l’impiego di materie prime vergini” e questo concetto quindi deve valorizzare tutti i processi atti al recupero di materiali che hanno concluso la valenza in un ciclo produttivo, ma trovano altrettanta valenza in un ciclo produttivo successivo con enormi sforzi del recuperatore (non uso apposta il termine “riciclatore” perché il senso stretto del termine potrebbe indurre a pensare che si possano recuperare i rifiuti senza Autorizzazione).

Citando un estratto della norma 10667-1:2017: “i sottoprodotti possono essere sottoposti a tutti quei trattamenti o interventi utilizzati nella normale pratica industriale, che talvolta possono essere uguali a quelli eseguiti per il recupero dei rifiuti”. Solo questa frase fa capire quanto l’ente abbia voluto valorizzare pratiche che il conferitore del sottoprodotto deve effettuare i medesimi sforzi per dare nuova vita ad una risorsa e rivalorizzarla a dovere. Il produttore di questa risorsa, semplicemente, ha potuto appellarsi ad una possibilità che il legislatore offre (non a caso nel medesimo decreto legislativo di rifiuti e end of waste) al fine di sgravare non solo l’iter burocratico ma anche produttivo?

A volte farebbe molto bene passare effettivamente qualche ora nei reparti produttivi dove si cerca di recuperare, formulare, ricreare, stampare, soffiare, compoundare quei meravigliosi materiali “green” che non solo devono avere caratteristiche tecnico meccaniche affini ai materiali di prima scelta ma anche soddisfare tutti gli adempimenti previsti in termini di compliance su sicurezza e ambiente. 

Sarebbe bello che in questo settore si facesse gioco forza…..

di: Tatiana Melato
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