Riflessioni sul polverone che si è scatenato in Italia dopo la notizia di trattative tra ENI e potenziali investitori esteri.
20 novembre 2015 06:25
La notizia che ENI sta cercando un partner finanziario e industriale per la chimica di Versalis sta scatenando un putiferio: interrogazioni parlamentari, convocazioni dei vertici del gruppo italiano in ogni regione, provincia e comune dove sorge uno stabilimento; ora anche scioperi nelle fabbriche del gruppo.
Tutto questo mentre le trattative sono ancora in corso, non si conoscono i nomi dei potenziali partner, non ci sono indizi sul progetto industriale sottostante.
Cose così succedono solo in Italia. Nel resto del mondo - e chi ci legge ogni giorno lo sa - accordi, joint-venture, spin-off, ristrutturazioni e parziali dismissioni nel settore della petrolchimica e materie plastiche sono all’ordine del giorno. Anzi, si potrebbe dire che non ne viene toccato solo chi si trova in una posizione marginale o è così forte da non averne bisogno, o teme di incorrere nelle ire dell’antitust.
Chi ritiene che Versalis possa continuare a lungo da sola, in un settore così competitivo e globalizzato, con l’unico supporto del gruppo ENI (e una golden share del Governo), o è ingenuo, o è in cattiva fede.
Già in passato ENI aveva provato, senza successo, a cedere la chimica, che al tempo batteva bandiera Polimeri Europa: forse i tempi non erano maturi, o gli assets troppo ingombranti e, in taluni casi, obsoleti. Ora l’azienda ha avviato un progetto di rifocalizzazione delle attività dalle commodities alle specialità elastomeriche e alla chimica verde (con Matrìca), investendo risorse (1,2 miliardi di euro in quattro anni non sono bruscolini) e cercando di salvaguardare l’occupazione (altri gruppi hanno ceduto o chiuso impianti non produttivi senza porsi gli stessi scrupoli), con l’obiettivo di rendere la chimica italiana più appetibile e favorire così l’ingresso di partner internazionali. Partner che in un futuro potrebbero prendere il pieno controllo della società: piaccia o no è quello che avviene nel resto del mondo; piaccia o no è quello che può servire per mantenere viva la chimica italiana.
Certo, è legittimo chiedersi chi sia il partner e quale il piano industriale, ma avviare indagini parlamentari e scioperare preventivamente su voci di trattative - pur confermate dai vertici - sembra non avere altro scopo che scoraggiare eventuali investitori. Se questo è il piano, non aspettiamoci per la chimica italiana un roseo futuro; anzi, un futuro.
Carlo Latorre
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