27 giugno 2016 07:18
L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, sancita dal referendum del 26 giugno, avrà molteplici riflessi sull’economia mondiale e continentale, per molti versi imprevedibili e diversi a seconda si considerino gli effetti a breve, medio e lungo periodo.
NON SARÀ VELOCE. Ci vorranno alcuni anni (almeno due) per completare lo sganciamento dall’Unione, considerando i vincoli burocratici e il fatto che è nessun paese lo ha mai fatto; ci sono poi i trattati internazionali che dovranno arrivare a scadenza prima di impattare sull’economia e gli scambi commerciali.
Secondo l’articolo 50 del Trattato europeo, che indica le procedure per l’asciare l’Unione, partiranno le consultazioni per definire i termini e le condizioni del distacco; nel frattempo il Regno Unito continuerà a restare un paese membro UE a tutti gli effetti, compresa la presidenza di turno della Commissione nel 2017.
Questo dal punto di vista formale. Altri effetti, invece, sono immediati: il terremoto sui mercati finanziari (la borsa di Milano ha accusato il colpo più di altre piazze europee) e il crollo della sterlina, che rende meno convenienti le nostre esportazioni. Senza contare la contrazione del PIL britannico, con effetti sulla domanda di imprese e consumatori.
QUANTO ESPORTIAMO? L’anno scorso, le nostre imprese hanno venduto in Gran Bretagna beni e servizi per circa 22,5 miliardi di euro, il 7,4 in più rispetto all’anno precedente, su un interscambio commerciale di quasi 33 miliardi.
Alcuni analisti stanno provando in questi giorni a stimare quale potrebbe essere il danno per le nostre esportazioni. Secondo Sace, che si basa su uno scenario macroeconomico di Oxford Economics, le vendite di made in Italy potrebbero ridursi già quest’anno dell’1,2%, con una perdita tra 200 e 500 milioni di euro, mentre l’anno prossimo la contrazione del nostro export potrebbe valere tra 600 milioni e 1,7 miliardi di euro. Tra i settori maggiormente penalizzati, la meccanica strumentale - con un calo dell’export tra 100 e 200 milioni di euro nel 2016 - e i mezzi di trasporto. Dovrebbero invece tenere i consumi di abbigliamento e prodotti alimentari.
Euler Hermes, la società di assicurazioni del credito all’estero del gruppo Allianz, stima invece, nella peggiore delle ipotesi, una riduzione delle esportazioni fino a 1,9 miliardi di euro in tre anni, per il periodo 2017-2019, di cui 1,6 miliardi nell’export di beni e 300 milioni in servizi. Atradius, assicuratore del credito commerciale a livello internazionale, ha pubblicato un Economic Briefing che indica un possibile incremento delle insolvenze nel breve termine, tra l’1% al 3,5%, in alcuni paesi più esposti, come Irlanda, Paesi Bassi e Belgio.
IN RUSSIA ABBIAMO PERSO DI PIÙ. A dirla con Totò, non sono bruscolini, ma non è neanche la fine della nostra economia. Basti ricordare che le sanzioni alla Russia ci sono costate 3,6 miliardi di euro in due anni, quasi il doppio d quanto potremmo perdere nel Regno Unito, e in tre anni invece di due. E nel breve-medio periodo, le imprese tendono a rimodulare il proprio export spostandolo su mercati più promettenti.
La Brexit - rilevano gli analisti di Euler Hermes - costerà senz’altro più alla Germania, che potrebbe perdere nei prossimi tre anni oltre 6,8 miliardi di euro, o all’Olanda, così intimamente legata all’economia inglese da poter perdere, nello stesso periodo, fino a 3,6 miliardi di euro, soprattutto sul fronte dei servizi. Per Belgio e Francia, il contraccolpo potrebbe variare tra 2,4 e 2,8 miliardi di euro. Contando anche tutti gli altri paesi, in tre anni la UE potrebbe lasciare sul campo tra i 15 e i 20 miliardi di esportazioni di beni e tra i 2 e i 3,5 miliardi nei servizi.
MACCHINE PER PLASTICA E GOMMA. La meccanica strumentale rischia di essere tra i settori più colpiti dalla Brexit. Secondo i dati forniti da Assocomaplast, la Gran Bretagna occupa il settimo posto tra i paesi destinatari di tecnologia italiana per la lavorazione di plastiche e gomma: macchinari, impianti completi e stampi. L’anno scorso abbiamo esportato oltremanica 112 milioni di euro di attrezzature di trasformazione, lo stesso volume del 2014 ma con un trend di crescita rispetto ai 93 milioni del 2013, agli 86 del 2012 e ai 64 del 2011. Anche in questo caso, la Germania rischia di più, con un export settoriale verso il Regno Unito di quasi 229 milioni di euro.
“A prescindere dai dati meramente statistici, il Regno Unito è da anni nella top ten dei nostri mercati di destinazione e quindi, indiscutibilmente è uno dei più importanti - rileva il direttore di Assocomaplast, Mario Maggiani -. Credo però che qualsiasi valutazione ora sia prematura. È sbagliato essere catastrofisti, ma non bisogna neppure sottovalutare il problema: servirà qualche mese per avere un quadro della situazione un po’ più chiaro e valutare il reale impatto della Brexit sulle nostre esportazioni”.
NON PIACE NEPPURE ALLA CHIMICA. Difficile valutare gli effetti per la chimica inglese, che esporta ogni anno 50 miliardi di sterline: da un lato teme il clima di incertezza e di volatilità dei mercati, dall’altro potrebbe beneficiare della svalutazione della sterlina.
L’industria britannica - secondo i dati Cefic - vale circa il 9% del giro d’affari generato dalla chimica europea (531 miliardi di euro l’anno): esporta nel resto d’Europa circa 20,3 miliardi e importa dalla UE chimica per 22,3 miliardi, di cui il 28% sono prodotti petrolchimici.
I trasformatori britannici potrebbero beneficare della svalutazione della sterlina, ma dovrebbero fare i conti con maggiori costi delle materie prime - i primi effetti potrebbero essere visibili a breve con il crollo del 20% della divisa inglese - e con il rischio di una recessione sul mercato interno. Al momento è difficile stimare quale sarà l’effetto prevalente.
LA CHIMICA ITALIANA TIFA PER LA UE. L’incertezza economica e il rischio di un effetto domino sulla tenuta dell’Europa sono gli effetti che la chimica italiana teme di più: “Brexit è una grave minaccia al mercato unico, fondamentale condizione per il nostro settore - commenta Cesare Puccioni, Presidente Federchimica (foto a destra) -. L’industria chimica in Italia è sempre stata in favore di un’Europa più integrata, fondata sulle libertà fondamentali del mercato unico: la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali”.
Nello specifico, rileva Puccioni: "L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea potrebbe avere effetti penalizzanti per le nostre imprese, che si troveranno ad operare in un clima d’incertezza. Ci preoccupano le decisioni dei nostri utilizzatori, che finalmente stavano tornando a programmare i loro acquisti con più normalità”.
“Al di là degli effetti negativi delle turbolenze finanziarie - aggiunge il presidente di Federchimica - preoccupa la maggior difficoltà come Europa nel giocare un ruolo nel mercato globale, soprattutto nei rapporti con Cina e USA. Occorre accelerare il processo di piena adozione del metodo comunitario, che superi gli egoismi nazionali e realizzi un mercato unico, fluido, senza barriere, ovvero la condizione primaria per la sussistenza delle nostre imprese e del ruolo fondamentale che esse svolgono in termini di sviluppo sostenibile, progresso tecnologico e benessere sociale”.
ANCHE L’AUTO TEME SCOSSONI. Tra i settori più interessati dalla Brexit c’è l’industria automotive. Il regno Unito non è solo il secondo principale mercato europeo dell’auto, ma è anche un importante centro di produzione. Nel paese vengono costruite ogni anno 1,6 milioni di vetture, per il 77% esportate all’estero, con l’Europa che vale da sola il 60%, con quasi 30 miliardi di euro di vendite. Nessuno si azzarda a prevedere gli effetti economici ed occupazionali, ma senz’altro il settore sarà sottoposto ad un energico scossone.
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