25 luglio 2019 09:16
Quello attuale, per i grandi gruppi chimici, si conferma uno scenario macroenomico difficile, caratterizzato da incertezza e nebbia sul futuro che rende difficile far previsioni e che incide direttamente e indirettamente sui bilanci.
A farne le spese è stata anche la tedesca BASF, che ha chiuso il secondo trimestre con una contrazione del giro d’affari del 4% a 15,2 miliardi di euro, con un Ebitda di 2 miliardi (-27%) e margini operativi netti prima delle poste straordinarie (Ebit) in flessione del -47% a circa un miliardo di euro. L’utile, pari a 6,5 miliardi - cinque in più rispetto allo stesso periodo 2018 -, ha invece beneficiato del deconsolidamento di Wintershall.
Le vendite hanno scontato una contrazione sia dei volumi, scesi del -6%, sia del prezzi medi (-2%) - soprattutto negli isocianati e prodotti da cracking -, compensate in parte da effetti valutari (+2%) e da variazioni del perimetro di portafoglio (+2%). Per quanto concerne i volumi, il calo è stato più pronunciato nei segmenti Chemicals e Agricultural Solutions, anche per il fermo programmato degli steam cracker di Anversa, in Belgio, e Port Arthur, in Texas.
Il CEO di BASF, Martin Brudermüller, sottolinea gli effetti negativi sui conti della società delle tensioni commerciali in atto, in primis quelle tra USA e Cina, che non accennano a placarsi, tanto che il gruppo tedesco ha deciso di rivedere al ribasso le stime dell’esercizio 2019, ma non la politica dei dividendi.
Brudermüller ha confermato il piano annunciato a giugno per la razionalizzazione e semplificazione della struttura organizzativa e dei processi interni, che porterà alla riduzione di circa 6.000 posti di lavoro a livello globale entro la fine del 2021, sui 122.000 totali, per un risparmio di circa 300 milioni l'anno (leggi articolo). “Presso BASF SE di Ludwigshafen, oltre 1.100 dipendenti hanno accettato l'offerta di dimissioni volontarie nella prima metà dell’anno”.
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