5 novembre 2019 08:02
Voce fuori dal coro, Greenpeace non si chiede se tassare gli imballaggi in plastica sia giusto - lo è, secondo l’associazione ambientalista, in quanto colpisce "aziende che da decenni fanno enormi profitti, a scapito dell’ambiente, promuovendo la produzione e l’uso di enormi quantità di imballaggio” - ma quanto sia realmente incisivo dal punto di vista ambientale.
Secondo Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace: "Il rischio è che ci si limiti al solo prelievo fiscale e, considerate le cifre in ballo, la tassa non sembra essere in grado di disincentivare i consumi".
Per Ungherese, infatti, il maggior costo su una bottiglia d’acqua, compreso tra 1 e 3 centesimi di euro, è troppo basso per fungere da deterrente all’acquisto; la tassazione dovrebbe essere superiore a 1 euro al chilo, intervenendo in modo ancora più consistente sulle tipologie di imballaggi che non si riciclano. “Tuttavia - aggiunge -, il punto non è solo relativo al ‘disincentivo', ma riguarda un sistema che non funziona e che deve essere cambiato. Per questo, la tassazione dovrebbe essere accompagnata da una serie di sgravi e incentivi per il ricorso ad alternative a basso impatto ambientale – come lo sfuso o i sistemi basati sulla ricarica e il riutilizzo dei contenitori – per impedire che l’industria ricorra a quelle false soluzioni, come la plastica biodegradabile e compostabile o la carta, non meno problematiche per l’ambiente".
Secondo Ungherese, la nuova tassazione spingerebbe così "verso una vera innovazione tutte quelle aziende che basano il proprio business sugli imballaggi monouso, ricorrendo a tutte quelle alternative che già oggi esistono ma che raramente troviamo disponibili per i nostri acquisti quotidiani. L’inserimento di una modularità, con una tassazione crescente negli anni, potrebbe inoltre spingere velocemente le aziende a investire ancor più rapidamente in sistemi di distribuzione alternativi”.
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