Due casi emblematici delle difficoltà, per non parlare di stato comatoso, della chimica italiana: il tentativo di salvare in extremis il ciclo CVM-PVC di Vinyls Italia – ormai fermo da mesi e prossimo al collasso - e il futuro dell'impianto ternano per polipropilene (una delle culle del polimero inventato da Natta) che LyondellBasell ha annunciato all'inizio dell'anno di voler chiudere e che poi ha effettivamente fermato. Casi all'apparenza molto diversi tra loro: nel primo è difficile trovare un potenziale acquirente disposto ad imbarcarsi in un'avventura industriale che appare rischiosa e incerta; nell'altro è l'acquirente che non trova disponibilità nel venditore, che ragionevolmente non vuole crearsi, di punto in bianco, un nuovo concorrente sul mercato nazionale.
Casi diversi solo all'apparenza. Alla base delle due crisi – ma il problema coinvolgerà prima o poi anche altri poli storici della petrolchimica nazionale – c'è il disinteresse coltivato colpevolmente per anni verso le sorti di un settore che a parole tutti definiscono strategico per il paese – e infatti lo è – ma che nei fatti viene lasciato lentamente marcire; e non è facile capire se si tratta di disattenzione, incapacità o di caparbia volontà di eutanasia. Forse bisogna partire dalle basi, dall'inconscio collettivo di una nazione che non sa più disegnare il suo futuro, che non sa più cosa vuol fare da grande: restare nel giro dei grandi produttori manifatturieri, diventare una disneyland del turismo internazionale, vivere di rendite e pensioni. Tutto è lecito, basta decidersi e perseguire con determinazione l'obiettivo.
Certo è che i segnali, a volerli cogliere, non sono mancati: a Porto Marghera, già ai tempi di Ineos – e prima ancora di EVC – si lamentava la mancanza di un piano industriale per l'area, di una politica di sostegno verso un settore nodale per i settori a valle, o anche solo delle autorizzazioni necessarie per mantenere vitale il polo, che se non si può né far crescere, né modernizzare, è inevitabilmente destinato al declino.
Se l'immobilismo poteva essere sopportabile, o anche solo inavvertibile, prima della globalizzazione, oggi che i paesi emergenti fanno a gara per accaparrarsi gli investimenti dei grandi big della chimica, l'inerzia colpevole o incolpevole equivale nei fatti a un rifiuto. Perché – potrebbe chiedersi un gruppo chimico internazionale - investire oggi in Italia milioni di euro, sapendo che poi occorreranno anni per avere anche solo un autorizzazione, quando in Cina o in Medio Oriente, nello stesso tempo che da noi serve per ottenere un misero pezzo di carta, si può erigere, collaudare e avviare un impianto world-scale? Già, perché?
Colpisce quindi non tanto che Vinyls Italia sia oggi in amministrazione straordinaria o che l'impianto di Terni sia in via di chiusura, ma che vi sia ancora un barlume d'interesse da parte di qualche imprenditore o cordata ( in questo caso possiamo escludere casi di isolata pazzia) verso questi dinosauri tecnologici difficili da alimentare e da curare, costosi e lenti, che di punto in bianco possono far finire in galera per reati ambientali - magari perpetrati nel secolo scorso - i loro custodi. Nel caso di Porto Marghera, poi, c'è l'incognita del futuro di un sito che non si capisce quanto a lungo resterà industriale, né quali siano i progetti di sviluppo post-industriale.
E' quindi lecito chiedersi chi vi sia dietro il misterioso fondo svizzero che si è offerto di prendersi carico non solo degli impianti Vinyls, ma anche alcuni assets a monte, oggi in mano al gruppo ENI. Filantropia, superficialità, errore di valutazione? Non nel mondo della finanza internazionale, non in questo secolo. E se invece il ciclo del PVC in Italia ha ancora un appeal economico, perché non abbiamo assistito ad una corsa ad accaparrarsi gli impianti? Perché qualche cordata di imprenditori nazionali non si è fatta avanti, come invece è accaduto nel caso delle ultime liberalizzazioni (trasporti, autostrade, energia)?
In questo scenario, anche solo l'accelerazione delle trattative finisce per risultare sospetta: prima di Gita, il gruppo arabo Ramco si era avvicinato ai reattori, ma aveva fatto un repentino dietro front dopo le trattative iniziali. Oggi, invece, dopo un paio di incontri, sembrano essere tutti d'accordo. Ma siamo a dicembre e i miracoli – a Natale, e quando si avvicinano le elezioni - possono sempre accadere.
di Carlo Latorre - Direttore editoriale Polimerica
14 dicembre 2010 09:40
Vinyls Italia e Terni: due crisi annunciate. E la soluzione non sembra a portata di mano.Due casi emblematici delle difficoltà, per non parlare di stato comatoso, della chimica italiana: il tentativo di salvare in extremis il ciclo CVM-PVC di Vinyls Italia – ormai fermo da mesi e prossimo al collasso - e il futuro dell'impianto ternano per polipropilene (una delle culle del polimero inventato da Natta) che LyondellBasell ha annunciato all'inizio dell'anno di voler chiudere e che poi ha effettivamente fermato. Casi all'apparenza molto diversi tra loro: nel primo è difficile trovare un potenziale acquirente disposto ad imbarcarsi in un'avventura industriale che appare rischiosa e incerta; nell'altro è l'acquirente che non trova disponibilità nel venditore, che ragionevolmente non vuole crearsi, di punto in bianco, un nuovo concorrente sul mercato nazionale.
Casi diversi solo all'apparenza. Alla base delle due crisi – ma il problema coinvolgerà prima o poi anche altri poli storici della petrolchimica nazionale – c'è il disinteresse coltivato colpevolmente per anni verso le sorti di un settore che a parole tutti definiscono strategico per il paese – e infatti lo è – ma che nei fatti viene lasciato lentamente marcire; e non è facile capire se si tratta di disattenzione, incapacità o di caparbia volontà di eutanasia. Forse bisogna partire dalle basi, dall'inconscio collettivo di una nazione che non sa più disegnare il suo futuro, che non sa più cosa vuol fare da grande: restare nel giro dei grandi produttori manifatturieri, diventare una disneyland del turismo internazionale, vivere di rendite e pensioni. Tutto è lecito, basta decidersi e perseguire con determinazione l'obiettivo.
Certo è che i segnali, a volerli cogliere, non sono mancati: a Porto Marghera, già ai tempi di Ineos – e prima ancora di EVC – si lamentava la mancanza di un piano industriale per l'area, di una politica di sostegno verso un settore nodale per i settori a valle, o anche solo delle autorizzazioni necessarie per mantenere vitale il polo, che se non si può né far crescere, né modernizzare, è inevitabilmente destinato al declino.
Se l'immobilismo poteva essere sopportabile, o anche solo inavvertibile, prima della globalizzazione, oggi che i paesi emergenti fanno a gara per accaparrarsi gli investimenti dei grandi big della chimica, l'inerzia colpevole o incolpevole equivale nei fatti a un rifiuto. Perché – potrebbe chiedersi un gruppo chimico internazionale - investire oggi in Italia milioni di euro, sapendo che poi occorreranno anni per avere anche solo un autorizzazione, quando in Cina o in Medio Oriente, nello stesso tempo che da noi serve per ottenere un misero pezzo di carta, si può erigere, collaudare e avviare un impianto world-scale? Già, perché?
Colpisce quindi non tanto che Vinyls Italia sia oggi in amministrazione straordinaria o che l'impianto di Terni sia in via di chiusura, ma che vi sia ancora un barlume d'interesse da parte di qualche imprenditore o cordata ( in questo caso possiamo escludere casi di isolata pazzia) verso questi dinosauri tecnologici difficili da alimentare e da curare, costosi e lenti, che di punto in bianco possono far finire in galera per reati ambientali - magari perpetrati nel secolo scorso - i loro custodi. Nel caso di Porto Marghera, poi, c'è l'incognita del futuro di un sito che non si capisce quanto a lungo resterà industriale, né quali siano i progetti di sviluppo post-industriale.
E' quindi lecito chiedersi chi vi sia dietro il misterioso fondo svizzero che si è offerto di prendersi carico non solo degli impianti Vinyls, ma anche alcuni assets a monte, oggi in mano al gruppo ENI. Filantropia, superficialità, errore di valutazione? Non nel mondo della finanza internazionale, non in questo secolo. E se invece il ciclo del PVC in Italia ha ancora un appeal economico, perché non abbiamo assistito ad una corsa ad accaparrarsi gli impianti? Perché qualche cordata di imprenditori nazionali non si è fatta avanti, come invece è accaduto nel caso delle ultime liberalizzazioni (trasporti, autostrade, energia)?
In questo scenario, anche solo l'accelerazione delle trattative finisce per risultare sospetta: prima di Gita, il gruppo arabo Ramco si era avvicinato ai reattori, ma aveva fatto un repentino dietro front dopo le trattative iniziali. Oggi, invece, dopo un paio di incontri, sembrano essere tutti d'accordo. Ma siamo a dicembre e i miracoli – a Natale, e quando si avvicinano le elezioni - possono sempre accadere.
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