Studio Conai sull'impatto dei biopolimeri nella filiera di riciclo degli imballaggi in plastica.
29 gennaio 2013 07:15
Con la diffusione degli imballaggi in bioplastica, difficilmente distinguibili - per la massaia - da quelli in plastica "tradizionale", si pone il problema dell'inquinamento della filiera del riciclo, che vale sia per i materiali biobased compostabili, che per gli additivi oxo-biodegradabili e similari.
Per valutarne impatto e limiti di impiego, Conai - Consorzio che si occupa del recupero e riciclo degli imballaggi da raccolta differenziata dei rifiuti urbani -, ha condotto il primo studio sul recupero post-consumo dei packaging biodegradabili mediante compostaggio e riciclo meccanico. I primi risultati della ricerca sono stati illustrati la scorsa settimana nel corso di un incontro organizzato a Milano da Assobioplastiche e Conai.
In estrema sintesi, secondo i ricercatori, film shoppers, bottiglie, stoviglie e altri imballaggi rigidi e flessibili in plastica biodegradabile possono essere avviati a compostaggio, ai sensi della UNI EN 14432, almeno fino a concentrazioni del 5% della massa totale. Per quanto concerne invece il riciclo meccanico, la quota massima di bioplastiche compostabili sostenibile dal sistema è stimata nel 10% del volume complessivo di imballaggi in plastica trattati.
Per studiare il problema, Conai ha costituito e coordina uno specifico Gruppo di Lavoro (GdL) per il “Progetto Recupero Imballaggi Biodegradabili”, che ha tra i suoi membri i produttori di bioplastiche (BASF, NatureWorks, Novamont), gli utilizzatori di imballaggi (Barilla, COOP), il Consorzio Italiano Compostatori (CIC), Corepla e le associazioni di categoria Assobioplastiche e Federazione Gomma Plastica. Il coordinamento scientifico è stato affidato al prof. Fausto Gironi, del Dipartimento Ingegneria Chimica dell'Universita? La Sapienza di Roma.
Lo studio si è concentrato, in particolare, su due famiglie di bioplastiche diffuse sul mercato italiano: l'acido polilattico (PLA Ingeo di NatureWorks) e il Mater-Bi di Novamont. Nel primo caso, "le prove effettuate sulla riciclabilita? meccanica del PLA hanno dato esito positivo da un punto di vista tecnico"; i contenitori rigidi in bioplastica possono essere quindi avviati a riciclo una volta opportunamente separati negli impianti di selezione. Per il Mater-Bi, stante le difficoltà di separare film e imballaggi flessibili: "le prove condotte rilevano che e? possibile rilavorare/riciclare miscele di shopper in Mater?Bi e rifiuti di shopper in plastica tradizionale fino a concentrazioni del 10% (a concentrazioni superiori potrebbero esserci problemi che vanno approfonditi)".
E' stata anche condotta un'analisi del ciclo di vita (LCA), al fine di confrontare l’impatto ambientale degli imballaggi in plastiche tradizionali con quello delle plastiche biodegradabili. Come possibile fine vita sono stati considerati l’invio a discarica, l’incenerimento, il compostaggio, il riciclo meccanico a ciclo chiuso (bottle-to-bottle) e a ciclo aperto (bottle-to-fibres), il riciclo chimico e scenari misti in cui il manufatto e? inviato a diverse destinazioni finali. I risultati - segnala Conai - hanno indicato che per tutti i manufatti considerati possono esserci diverse valide soluzioni di riciclo/recupero e, tra queste, il riciclo meccanico risulta la soluzione a minore impatto ambientale.
I ricercatori ritengono utile per il futuro applicare un simbolo unificato sugli imballaggi biodegradabili, con una duplice funzione: da un lato, permettere ai cittadini di distinguere l’imballaggio biodegradabile da quello non biodegradabile, facilitando la raccolta differenziata; inoltre, lo stesso simbolo potrebbe essere impiegato per la separazione automatica negli impianti di selezione e per la tracciabilita? dell’imballaggio nell’arco della sua vita.
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