11 maggio 2021 15:39
Articolo a cura di Carmine Di Fiore
La principale proprietà delle plastiche (dei polimeri sintetici) è la loro durabilità che le rende ideali per molteplici applicazioni come imballaggi, materiali da costruzione, commodities, prodotti per l'igiene, ecc. ma che porta con sé, a fine vita del manufatto, problemi di smaltimento dei rifiuti. Infatti le plastiche tradizionali derivate dal petrolio non sono facilmente biodegradabili, a causa della loro resistenza alla biodegradazione microbica, e quindi si accumulano nell'ambiente. Questo problema, unito alla maggiore attenzione verso l’ambiente in cui viviamo, hanno contribuito a stimolare l'interesse verso i polimeri biodegradabili, sia sintetici che naturali.
BIODEGRADAZIONE. La biodegradazione avviene per azione di enzimi e/o deterioramento chimico fisico associato all’azione degli organismi viventi. Azione grazie alla quale gli elementi costitutivi, le molecole o gli stessi atomi, tornano ad essere disponibili per nuovi processi naturali. Questo evento si verifica in due fasi. La prima è la frammentazione dei polimeri in specie di massa molecolare inferiore mediante reazioni abiotiche, cioè ossidazione, fotodegradazione o idrolisi, o oppure mediante reazioni biotiche, cioè degradazioni da parte di microrganismi. Il secondo è la bioassimilazione dei frammenti di polimero da parte di microrganismi e la loro mineralizzazione.
La biodegradabilità di un polimero non dipende dall’origine dei suoi costituenti, ma dalla sua struttura chimica e dalle condizioni ambientali. Il comportamento meccanico dei materiali biodegradabili dipende oltre che dalla loro composizione chimica, dalla produzione, dalle caratteristiche di stoccaggio e lavorazione, dall'invecchiamento e dalle condizioni di utilizzo.
POLIMERI BIODEGRADABILI. Per essere biodegradabili, i polimeri devono contenere sulla loro catena principale una o più funzioni idrolizzabili, come ad esempio un gruppo estereo, ammidico, uretanico ecc. Di seguito concentreremo il nostro interesse verso i polimeri biodegradabili disponibili industrialmente, ossia facilmente reperibili in commercio in grande quantità. Solo in alcuni casi, per completezza di informazione, citeremo alcuni prodotti la cui disponibilità commerciale è minima o inesistente.
Nella tabella sotto è riportata una panoramica dei polimeri biodegradabili.
I polimeri biodegradabili disponibili sul mercato sono solo una piccola parte di questa tabella e fanno, nella quasi totalità, riferimento a prodotti che hanno sulla catena principale un gruppo estereo. Partiamo dai poliidrossialcanoati...
POLIIDROSSIALCANOATI. Sono polimeri termoplastici sintetizzati da vari generi di batteri (Bacillus, Rhodococcus, Pseudomonas, ecc.) per fermentazione di zuccheri o lipidi. Questi polimeri rappresentano una riserva carboniosa per i batteri che - specie in particolari condizioni di coltura, quale assenza di determinati nutrienti (azoto, fosforo, zolfo,..) - ne producono elevate concentrazioni. Essi sono accumulati sotto forma di granuli all’interno dello stesso batterio, fino al 90% del peso secco della massa batterica. Questi prodotti sono per loro stessa natura biodegradabili al 100%, e - ovviamente - ottenuti da fonti100% rinnovabili.
La formula di struttura generale di questi materiali è:
Data la grande variabilità delle catene laterali (-R) e della lunghezza della catena principale (m) i poliidrossialcanoati hanno proprietà fisico chimiche molto variabili. Punti di fusione tra i 40 e 180°C e proprietà fisico-chimiche che variano da quelle tipiche dei polimeri termoplastici fino a quelle tipiche delle gomme (elastomeri).
Vediamo alcuni dei Poliidrossialcanoati ottenuti sia per sintesi batteriche che per sintesi chimica:
Di seguito alcuni dati relativi alle proprietà dei due copolimeri (PHBV e PHBH) disponibili industrialmente, così come riportati nelle schede tecniche dei produttori:
fonte: http://www.kaneka.be/documents/Aonilex-Brochure-2017.pdf
Enmat Y1000P TDS
PGA (acido poliglicolico). É il più semplice poliestere alifatico lineare. Si prepara per polimerizzazione con l'apertura dell'anello di un lattone ciclico, il glicolide.
Il peso molecolare dell'unità ripetitiva è 116, la percentuale di carbonio contenuta è pari a circa il 41,4%.
Il PGA è noto sin dal 1954 come un polimero capace di formare fibre molto resistenti, tuttavia a causa della sua instabilità idrolitica paragonata ad altri poliesteri il suo uso iniziale fu molto limitato. Questo polimero possiede una temperatura di transizione vetrosa compresa fra i 35-40 °C ed una temperatura di fusione individuabile fra i 225-230 °C. É anche caratterizzato da un elevato grado di cristallinità (attorno al 45-55%), che gli conferisce una certa resistenza all'idrolisi.
Il processo di degradazione è erosivo e sembra seguire due passaggi, durante i quali il polimero viene riconvertito ad acido glicolico. Nella prima fase l'acqua si insinua nelle regioni amorfe non cristalline del materiale, scindendo i legami esterei presenti; la seconda fase inizia quando la regione amorfa è stata erosa lasciando esposta all'azione dell'acqua la porzione cristallina del polimero. Quando la struttura cristallina collassa, la catena polimerica si dissolve.
Quando esposto a condizioni fisiologiche il PGA degrada oltre che ad opera di processi di idrolisi, anche ad opera di alcune classi di enzimi, in particolare quelli appartenenti alla famiglia delle esterasi. Il prodotto di degradazione, l'acido glicolico, non è tossico e può entrare nel Ciclo di Krebs, al termine del quale viene secreto in forma di acqua e anidride carbonica. Una parte dell'acido glicolico viene anche eliminata in forma di urina.
Gli studi condotti su suture realizzate in PGA hanno mostrato come il materiale perda la metà della sua resistenza in circa due settimane ed il 100% in un mese. Il polimero viene poi completamente riassorbito dall'organismo in una finestra temporale di 4-6 mesi.
Quest'ultima proprietà è alla base del suo sviluppo industriale, infatti nel 1962 il PGA è stato utilizzato per sviluppare la prima sutura sintetica riassorbibile, brevettata da Davis & Geck (filiale della American Cyanamid co) 1963 (US 3297033) e commercializzata con il nome commerciale "Dexon".
Queste suture resistenti ed in grado di degradare fino a monomeri idrosolubili, riscossero un notevole successo nel campo della chirurgia, in particolare per il vantaggio di non dover eseguire successive operazioni per la rimozione dei punti. Oltre all'uso del solo PGA, con lo scopo di ottenere un materiale con caratteristiche specifiche, sono stati successivamente preparati diversi copolimeri dell'acido poliglicolico usando altri monomeri quali ad esempio il copolimero acido poliglicolico/alcol dodecanolo noto commercialmente come Vicril. Lo stesso PGA ricoperto con policaprolattone co-glicolide prende il nome commerciale di Dexon II.
I copolimeri presentano caratteristiche intermedie in termini di velocità di degradazione e solubilità a seconda del rapporto fra i vari monomeri usati nella sintesi e della natura stessa di tali monomeri.
Recentemente Pujing Chemical Industry ha presentato un grado Vytal-J226 da usare per lo stampaggio ad iniezione con le seguenti proprietà, riportate nella loro scheda tecnica:
PCL (policaprolattone). É è un poliestere biodegradabile con un basso punto di fusione, la sua formula di struttura è:
Il peso molecolare dell'unità ripetitiva è 114, di cui la percentuale di carbonio è circa il 63%. La temperatura di fusione 57°C e ha una temperatura di transizione vetrosa di -60° C.
Il PCL è ottenuto per polimerizzazione tramite apertura dell'anello dell'ε-caprolattone per effetto del calore in presenza di un catalizzatore, si possono ottenere polimeri ad alto peso molecolare (es il Capa 6800 ha un PM di circa 7000). E' un materiale semirigido: a temperatura ambiente ha un modulo a flessione di circa 300 MPa, bassa resistenza a trazione ed elevato allungamento a rottura (>800%).
I policaprolattoni sono prodotti da molti anni e hanno vari impieghi tra cui i più importanti sono in campo medico, come additivi per i poliuretani, come plastificanti polimerici del PVC, ecc.
Dato che sono facilmente biodegradabili, inizialmente sono stati usati anche per la produzione di film (es sacchetti asporto merci); tuttavia, quest'impiego è stato presto abbandonato a causa del suo basso punto di fusione. Per risolvere parzialmente questo problema il PCL è spesso usato in miscela con il PLA, il PGA, l'amido, ecc.. poiché porta in dote alle leghe l'elevato allungamento a rottura.
PCL è disponibile in commercio sotto vari nomi commerciali: CAPA (Solvay, Belgio), Ton (Union Carbide, Stati Uniti d'America) o Celgreen ( Daicel, Giappone).
Il PCL si degrada mediante idrolisi dei suoi legami esterei in condizioni fisiologiche (come nel corpo umano) e ha pertanto ricevuto molta attenzione per uso come biomateriale impiantabile. Il suo utilizzo come biopolimero al di là delle applicazioni mediche è limitato ai blend.
https://www.tri-iso.com/documents/Ingevity_CAPA_6800_TDS.pdf
https://www.tri-iso.com/documents/Physical_Properties_of%20Capa_Thermoplastic_Resins.pdf
PLA (acido polilattico). Si tratta di un poliestere alifatico lineare, con struttura chimica:
Il peso molecolare dell'unità ripetitiva è 72 di cui la percentuale di carbonio è il 50% in peso.
Il PLA è stato realizzato per la prima volta nel 1931 da Wallace Carothers, scienziato di DuPont, riscaldando l'acido lattico sottovuoto. Tuttavia, la difficoltà ad ottenere alti pesi molecolari solo con il riscaldamento sottovuoto e la successiva tendenza del prodotto a degradare fecero momentaneamente accantonare il prodotto.
Normalmente il monomero, l'acido lattico (acido 2-idrossi propionico), è ottenuto a partire dall'amido di mais o dalla canna da zucchero mediante sintesi chimica o fermentazione. La fermentazione viene operata dai batteri definiti lattici come Streptococcus, Pediococcus e Lactobacillus sul glucosio o altro zucchero fermentabile (melasse, barbabietola, canna da zucchero…), in assenza di ossigeno.
I batteri trasformano gli zuccheri in acido piruvico CH3COCOOH che successivamente viene ridotto ad acido lattico.
L'acido lattico prodotto dalla fermentazione ad opera dei microrganismi è otticamente attivo, gli stereoisomeri L (+) e D (-) possono essere ottenuti utilizzando l'adeguato lactobacillus.
Il PLA ad alto peso molecolare può essere prodotto in due modi diversi. Un metodo è la polimerizzazione per condensazione in cui l'acqua viene rimossa mediante solvente sottovuoto spinto ad una determinata temperatura. L'altro metodo è la polimerizzazione per apertura dell'anello del 2,5 dimetil 3,6 dioxo 1,4 diossano (Lattide).
Nello schema riportato di seguito sono indicati i metodi di sintesi per l'ottenimento di PLA ad elevato peso molecolare. A livello industriale viene impiegata esclusivamente la polimerizzazione per apertura dell'anello del lattide.
Ci sono quattro forme di PLA che possono essere ottenute dai diversi tipi di lattide. L-PLA e D-PLA sono le due forme regolari otticamente attive, preparate a partire da L-lattide e D-lattide; le altre due forme otticamente inattive sono: L,D-PLA ottenuta dalla miscela di L-lattide e D-lattide, e la forma meso-PLA.
A seconda del rapporto dei monomeri D (-) e L (+), il PLA può essere modificato da totalmente amorfo fino ad una cristallinità di circa l'80%. Si è trovato che il PLA con una percentuale maggiore del 93% di isomero L o di converso di isomero D ha un comportamento semi-cristallino, mentre il PLA contenente miscele di D ed L fuori da questi limiti è sostanzialmente amorfo.
L'acido polilattico è uno dei biopolimeri più promettenti presente sul mercato e ha una vasta gamma di applicazioni che spaziano dal packaging alimentare, sacchetti biodegradabili, stoviglie monouso, TNT (tessuto non tessuto) ad applicazioni biomediche. Tuttavia, alcune proprietà come la bassa resistenza all'impatto, il basso allungamento a rottura, la scarsa proprietà di barriera, la bassa velocità di cristallizzazione ma soprattutto la bassa temperatura di inflessione sotto carico, HDT, ostacolano lo sviluppo di una serie di applicazioni industriali su vasta scala.
Molti studi sono stati condotti per cercare di superare i suddetti limiti del PLA: un metodo è quello di aumentare la percentuale di cristallinità; un altro (forse quello più seguita) è miscelare il PLA con altri polimeri (blending) al fine di ottenere materiali con le proprietà ricercate.
Tuttavia, anche la scarsa tendenza del PLA cristallino a degradare ne ostacola in senso inverso la sua diffusione come materiale biodegradabile e compostabile.
http://www.natureworksllc.com/~/media/Files/NatureWorks/Technical-Documents/Technical-Data-Sheets/TechnicalDataSheet_2003D_FFP-FSW_pdf.pdf
http://www.corbion.com/media/442336/pds-purapol-lx175.pdf
https://www.total-corbion.com/media/0mxj0y1o/pds-luminy-d120-190507.pdf
POLIESTERI DA FONTI FOSSILI. Oltre ai poliesteri già visti, i cui monomeri sono generalmente tutti ottenuti da fonti rinnovabili, ci sono altri poliesteri di importanza industriale i cui monomeri sono solitamente in tutto o in parte ottenuti da fonti fossili. Questi sono il PBS, il PBSA, il PBAT e il PBST.
Tra questi, il polimero che sta riscuotendo maggiore interesse industriale è il PBAT , la cui capacità produttiva mondiale è in continua espansione.
Il peso molecolare dell’unità ripetitiva è 172, ma essa è costituita per il 55,8% da carbonio. Il PBS ha una cristallinità del 35-45%, la sua temperatura di transizione vetrosa Tg è -32°C e il suo punto di fusione è 114-115°C.
Cenni Storici. La sintesi di poliesteri a base di acido succinico è stata fatta per la prima volta nel 1863. In quel periodo il francese Agostino Vicente Lourenço descrisse nel suo "Recherche sur les composés polyatomiques" (ricerca su composti poliatomici), la reazione tra acido succinico e glicole etilenico a formare quello che chiamo "acido succino-etilenico". Egli notò che questo acido perde acqua quando viene riscaldato a temperature elevate (300 °C) e che si ottiene una massa cristallina dopo raffreddamento. Purtroppo, Lourenço non studiò molto la struttura del materiale ottenuto.
Più tardi Davidoff (1886), e quindi Voländer (1894) prepararono questo stesso materiale utilizzando metodi diversi. Questo primo lavoro fu proseguito nel 1930 da Wallace Hume Carothers (EI du Pont de Nemours and Co.), con uno studio sistematico sui poliesteri a base di acido succinico. In quel tempo, lo scopo dei ricercatori era individuare una fibra sintetica alternativa alla seta naturale. Carothers, eliminando l'acqua con un processo di distillazione continua, ottenne polimeri con masse molecolari significativamente superiori a quanto precedentemente ottenuto. Tuttavia, le caratteristiche dei prodotti finali non dettero le proprietà allora cercate e, per questa ragione, Carothers rivolse la sua attenzione alle poliammidi, inventando con il suo collega Julian Hill il Nylon 6,6. Flory (1946) aveva proposto invece una migliore sintesi di poliesteri alifatici partendo dai cloruri di diacido.
All'inizio degli anni '90 del secolo scorso, dopo essere stato dimenticato per più di 40 anni, questo polimero ha ricevuto un rinnovato interesse a causa della crescente domanda di polimeri biodegradabili.
La società giapponese Showa Denko costruì nel 1993 un impianto semi-commerciale in grado di produrre 3.000 tonnellate di polimero per anno, venduto sotto il nome commerciale Bionolle, producendo sia PBS che PBSA. Questi poliesteri venivano sintetizzati tramite polimerizzazione in fase condensata seguita da un processo di estensione di catena con un diisocianato.
Molto più tardi, nell'aprile 2003, Mitsubishi Chemicals ha costruito un impianto da 3.000 tonnellate annue di capacità e ha lanciato sul mercato un PBS chiamato GS PLA. Questo polimer,o con elevato peso molecolare, è ottenuto senza l'uso di un estensore di catena. Tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016, MCCPTT (joint venture tra la Mitsubishi Chemical Corporation e PTT Global Chemical Public Company Limited ) ha avviato in Thailandia un impianto per la produzione di PBS a partire da acido succinico da fonte vegetale ottenendo così un prodotto con circa il 50% di carbonio da fonti rinnovabili. Tale valore potrà arrivare al 100% con l’uso di 1,4 butandiolo (BDO) da fonte rinnovabile.
Metodo di produzione. L'esterificazione diretta dell'acido succinico con 1,4-butandiolo è il modo più comune per la sintesi di PBS. Il processo presenta due fasi. Innanzitutto, un eccesso del diolo è esterificato con diacido per formare oligomeri PBS con l'eliminazione di acqua.
Quindi, questi oligomeri polimerizzati sotto vuoto per formare un polimero ad alto peso molare.
PBSA (polibutilensuccinatoadipato). Dato che il PBS ha un allungamento a rottura basso rispetto ai prodotti da film, è stato sviluppato anche il PBSA, ottenuto aggiungendo nella fase di polimerizzazione, oltre all’acido succinico, anche l’acido adipico. Si ottiene così un copolimero formato dai due acidi e dall’1,4 butandiolo. Questo prodotto mostra vari vantaggi nella produzione dei film anche se ha un punto di fusione di soli 84 gradi centigradi.
Il PBSA ha proprietà molto simili al polietilene lineare a bassa densità (LLDPE) e si biodegrada in tempi più brevi del PBS, ed è quindi adatto per un sacco di compostaggio dei rifiuti di cucina. La sua formula di struttura è:
Proprietà tipiche del PBS/PBSA
Esiste anche un altro polimero (PES) ottenuto dall’acido succinico e dal glicole etilenico, di cui si parla in modo esteso in letteratura, ma al momento non è reperibile sul mercato, la cui formula di struttura è:
PBAT - poli(butilene adipato-co-tereftalato). Per migliorare le caratteristiche fisico/chimiche e ridurre i costi di produzione dei poliesteri alifatici e ottenere polimeri con elevati pesi molecolari sono stati studiati diversi co/poliesteri alifatici/aromatici. Tra questi quello che ha avuto maggior successo commerciale è stato il PBAT.
Questo polimero è stato introdotto dalla BASF con il nome commerciale di Ecoflex nel 1998. La struttura chimica è la seguente:
Si tratta di un copolimero random, sintetizzato a partire dall’acido tereftalico, dal 1,4-butandiolo e dall'acido adipico. Nei prodotti commerciali la percentuale di carbonio è circa il 64%.
A livello industriale è sintetizzato in un unico passaggio. Alla fine del processo di polimerizzazione, per incrementare il peso molecolare è possibile aggiungere un chain extender bifunzionale. Oppure un chain extender con più di due funzioni reattive (3, 4, ..) per ottenere un prodotto a peso molecolare maggiore e con catene laterali lungo la catena principale (come il polietilene bassa densità).
In laboratorio per semplicità è anche possibile fare tre passaggi. Nel primo passaggio l'1,4 butandiolo è fatto reagire con l'acido adipico per ottenere un oligomero lineare (PBA). Nel secondo passaggio l'1,4 butandiolo è fatto reagire con l'acido tereftalico per ottenere il secondo oligomero (PBT); i due oligomeri sono poi fatti reagire tra di loro e si ottiene così un copolimero a blocchi:
Il ruolo principale dell'acido tereftalico nel polimero è di rinforzare la struttura del copoliestere e facilitare l’ottenimento di elevati pesi molecolari. In letteratura è riportato che la presenza dell’acido tereftalico in catena fino ad un massimo del 40%, non altera in modo significativo la biodegradabilità. Nel 1998, la BASF ha presentato i risultati sulla biodegradabilità di Ecoflex ed ha affermato che oltre il 90% di questo materiale può essere metabolizzato entro tre mesi in condizioni di compostaggio.
La biodegradabilità dei PBAT è stata successivamente confermata da molti ricercatori. La temperatura di transizione vetrosa del PBAT è di circa -30 °C e quella di fusione è intorno a 110-125 °C. Questi valori offrono un ottimo compromesso tra le temperature di esercizio e quelle di trasformazione, il prodotto ha anche eccellenti proprietà di morbidezza e duttilità.
Il PBAT è una plastica biodegradabile flessibile, con proprietà meccaniche simili a quelle di polietilene a bassa densità (LDPE). Questo lo rende adatto per imballaggio alimentare e per applicazioni film agricoli. Tuttavia, il relativamente basso modulo a trazione ne limita in parte le applicazioni commerciali tal quale. Esso infatti è generalmente usato in blend con altri polimeri biodegradabili (PLA, PHA, PHB, PCL, TPS,...) e cariche minerali per ottenere prodotti facili da lavorare, con ottime proprietà fisico chimiche e costi accettabili.
PBST (Polibutilensebacatotereftalato). Un altro polimero disponibile commercialmente è il PBST, anche se sarebbe meglio indicarlo PBSeT. Si tratta di una modifica del PBAT in cui l'acido adipico viene sostituito con l’acido sebacico da fonte vegetale, per ottenere un prodotto parzialmente da fonte rinnovabile. La formula di struttura è:
I prodotti disponibili commercialmente sono composti da una percentuale di carbonio da fonte rinnovabile di circa il 40% del carbonio totale contenuto.
Novamont in varie pubblicazioni afferma di utilizzare l’acido Azelaico estratto dal cardo, al posto dell’acido sebacico. Tuttavia non essendo in commercio il polimero puro, non sono facilmente reperibili dati fisico-chimici.
Confronto tra PBAT e PBST
Proprietà meccaniche e di barriera misurati su film da 25 micron:
CONCLUSIONI. Il presente articolo ha avuto come obiettivo la divulgazione della conoscenza, troppo spesso purtroppo monca o zoppa, sul panorama, sulle tipologie e sulle caratteristiche tecniche di una serie di polimeri che rientrano nella costellazione, che suscita sempre più interesse e dibattito, relativa al mondo del “bio”.
Quest’ultimo termine dovrebbe essere usato con maggiore attenzione e cognizione di causa, soprattutto dagli addetti ai lavori, per evitare una serie di fraintendimenti all’ordine del giorno negli ultimi anni.
Lungi dal voler essere stati esaustivi in questa carrellata, che come indicato è relativa principalmente a polimeri già pienamente industrializzati, riteniamo che questo piccolo contributo possa essere di supporto a tutti coloro, tecnici e non, che vogliano avvicinarsi al comparto con una sana curiosità scientifica.
Carmine Di Fiore
M. A. Plastic Engineering
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