L'Unione europea potrebbe respingere la messa al bando dei sacchetti non biodegradabili. Vediamo perché...
24 gennaio 2011 08:47
Mentre in Italia il caos regna sovrano, alimentato dall'assenza di indicazioni da parte dei ministeri competenti; Sviluppo economico e Ambiente – che avrebbero dovuto emanare quanto meno una circolare esplicativa, stante la genericità dei due commi della legge 296/06 (finanziaria 2007) - la Commissione europea avrebbe già avviato indagini preliminari per valutare l'eventuale violazione della normativa comunitaria, in merito alla della messa al bando dei sacchetti biodegradabili. Indagini che potrebbero portare all'apertura di una procedura d'infrazione a carico del nostro paese. A chiedere l'intervento di Bruxelles sono state nelle scorse settimane le associazioni nazionali ed europee dei produttori si sacchetti in plastica.
In contrasto con l'Europa. La possibilità di un ritorno dei sacchetti di polietilene sui banchi di negozi e supermercati è tutt'altro che aleatoria. La legge passata il 1° gennaio scorso 'per mancanza di proroga', oltre a mancare dei decreti attuativi previsti nello stesso testo, entra in conflitto con la direttiva europea sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio 94/62/CE, che all'articolo 18 afferma espressamente che gli stati membri non possono ostacolare l'immissione sul mercato di imballaggi conformi alle disposizioni della stessa direttiva; in altre parole, non si può proibire in Italia la vendita degli stessi sacchetti commercializzati in altri paesi dell'Unione, conformi alle leggi comunitarie (come lo sono allo stato attuale gli shopper in plastica), perché ciò violerebbe il principio della libera circolazione delle merci sul mercato unico europeo.
La legge è applicabile? C'è anche un'altra ragione, ricordata qualche giorno fa dal Consorzio Carpi proprio sulle pagine di Polimerica. Ovvero, la mancata notifica alla Commissione di una norma tecnica (alla quale può essere assimilato il bando ai sacchetti, dal momento che vieta la commercializzazione di un prodotto): vizio procedurale sostanziale che la rende di fatto inapplicabile. Basterebbe quindi rivolgersi alla Corte di Giustizia europea per chiederne l'inapplicabilità. Cosa che, si ci può attendere, avverrà quanto prima.
Il precedente francese. Del resto, esiste un precedente che lascia ben sperare i produttori di shopper. Il Governo francese nel 2007 notificò alla Commissione Europea la decisione di mettere al bando, tre anni più tardi, i vituperati sacchetti in plastica, ma dovette fare dietro front una volta ricevute da Bruxelles le obiezioni della Commissione, motivate proprio dall'incompatibilità con l'art.18 della direttiva sui rifiuti da imballaggio.
Nel frattempo l'industria soffre. Per arrivare ad un pronunciamento della Commissione o della Corte di giustizia servirà però del tempo. Tempo che manca alle aziende del settore, che come ha denunciato Unionplast nei giorni scorsi, si sono trovate da un giorno all'altro senza ordini per i vecchi sacchetti e senza sufficiente materiale per fabbricare i nuovi “biodegradabili”, di cui non manca certo la domanda; così gli impianti sono fermi e anche le scorte in magazzino, preziosa risorsa per le imprese del settore, non possono essere vendute. A rischio, secondo l'associazione, circa due terzi dei 4mila posti di lavoro del settore, che genera ogni anno un giro d'affari di 800 milioni di euro.
Il Governo sta a guardare. A venti giorni dall'entrata in vigore della legge, né il ministero dell'Ambiente, né quello dello Sviluppo economico hanno ancora emanato circolari esplicative o regolamenti tecnici, limitandosi ad uno scarno comunicato stampa, alimentando così lo stato di incertezza sul reale perimetro del divieto: vale per tutti i sacchetti? Cosa si deve intendere per biodegradabile? Possono essere messi in commercio i sacchetti presenti nei magazzini di produttori o distributori? Sono leciti i sacchetti in plastica additivata con oxo-biodegradabili? La scelta di stare alla finestra potrebbe essere una precisa strategia politica: in fondo la legge è stata elaborata dal centro-sinistra (nel 2006 governava Romano Prodi) e se dovesse essere bocciata da Bruxelles o dai cittadini, la colpa ricadrebbe inevitabilmente sull'opposizione; viceversa, se il mercato dovesse arrivare ad un equilibrio e i sacchetti in plastica sparire miracolosamente dai negozi, si potrebbe invocare la risoluzione del ministro Prestigiacomo nel cancellare ogni ipotesi di rinvio dal decreto Milleprooroghe di dicembre. Insomma, la strategia attendista sembra essere l'unica win-win per l'attuale Governo. Anche se si rivela perdente per produttori e consumatori.
Già, i consumatori. Passato l'iniziale entusiasmo per i delfini salvati dalla plastica, i consumatori hanno dovuto fare i conti con la scomparsa dei sacchetti in polietilene, senz'altro più robusti ed economici di quelli in bioplastica. Difficile far digerire un aumento di costo di 3-4 volte a fronte di caratteristiche prestazionali inferiori; e dove non si effettua la raccolta dell'umido, senza possibilità di riutilizzare il sacchetto e dovendo magari acquistare a parte i sacchi neri per l'indifferenziata.
Si poteva fare meglio? Il periodo di sperimentazione e il fondo di un milione di euro previsti dalla legge 296/06 (entrambi disattesi in questi anni) sarebbero dovuti servire proprio a individuare i problemi e favorire una sostituzione graduale e morbida dei “cattivi sacchetti”; ad esempio puntando sull'eliminazione immediata dei sacchetti più effimeri, migliorando forma e resistenza degli altri per favorirne il riutilizzo, o favorendo il riciclo dei sacchetti e usare il materiale così ottenuto per produrre altri shopper, in una sorta di circuito virtuoso, come si fa per le bottiglie in plastica. Si sarebbero potuti anche incentivare i sacchetti biodegradabili, magari laddove si effettua la raccolta dell'umido, lasciando tempo ai produttori di materiale e ai trasformatori di adeguare gli impianti.
Si è scelto invece il “laissez-faire”, che in Italia si traduce nella famosa esortazione di Totò agli italiani: “Arrangiatevi!”.
di Carlo Latorre
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