Conai ha presentato a Roma uno studio su riciclo di rifiuti urbani, sviluppo economico e occupazione.
8 luglio 2014 12:50
Conai ha illustrato questa mattina i risultati di uno studio (“Crescita e occupazione nel settore del riciclo dei rifiuti urbani”) che correla il riciclo dei rifiuti urbani a livello europeo con lo sviluppo economico e l’occupazione, cercando di identificare le politiche più efficaci e le ricadute in funzione di diversi scenario di contorno.
Lo studio, promosso dal Ministro dell’Ambiente e realizzato in collaborazione con Althesys, è stato presentato a margine della conferenza stampa indetta dal Ministro Gian Luca Galletti per illustrare i temi della “due giorni” ambiente e lavoro UE, in programma a Milano nei prossimi giorni, con la riunione del Consiglio dei ministri dell’ambiente dell’Unione il 16 luglio e quella congiunta dei ministri dell’Ambiente e del lavoro il giorno seguente.
Il primo aspetto che emerge dallo studio Conai è l’estrema eterogeneità del contesto europeo, con il conferimento in discarica che varia da valori prossimi allo zero a quote superiori al’80%, per arrivare ad una media del 34% (l’Italia, in posizione centrale si attesta intorno al 40%). I paesi più virtuosi sotto questo aspetto sono anche quelli che fanno più ricorso alla termovalorizzazione, come la Germania (dove si brucia il 35% dei rifiuti), la Svezia e la Danimarca (52%).
Se si associa il ricorso alla discarica con il PIL procapite a parità di potere di acquisto emerge una stretta correlazione tra benessere economico e performance ambientali. Difficile però capire se nei paesi ricchi si ricicla di più perché si hanno più risorse a disposzione - ipotesi più probabile - o se il riciclo contribuisca a far diventare i paesi più ricchi.
L’Italia esprime in piccolo le contraddizioni che caratterizzano l’Europa, con la coesistenza di eccellenze - il riciclo degli imballaggi - e non poche criticità, all’insegna di una forte disomogeneità dei risultati a livello territoriale.
In uno scenario elaborato dai ricercatori (“teorico”), si ipotizza che tutti i Paesi europei raggiungano gli obiettivi fissati a livello comunitario per il 2020: almeno il 50% di riciclo dei rifiuti urbani e l’azzeramento del ricorso alla discarica. In queste condizioni ideali - giudicate però irrealistiche dagli stessi analisti -, le quantità avviate a riciclo aumenterebbero di 44,8 milioni di tonnellate, mentre la maggior quantità di rifiuti avviati a compostaggio sarebbe di 22,5 milioni. Il ricorso alla discarica si ridurrebbe di 71 milioni di tonnellate e le quantità di rifiuti termovalorizzati crescerebbero quindi di 37,5 milioni.
In termini economici, nello scenario teorico si avrebbero ricadute economiche addizionali (dirette e indotte) pari ad oltre 136 miliardi di euro nel periodo dal 2013 al 2020. Questa stima - notano i ricercatori - comprende le attività di raccolta, selezione, compostaggio e riciclo intermedio per circa 100 miliardi di euro, mentre i restanti 36 miliardi proverrebbero dagli investimenti in impianti di trattamento, riciclo e smaltimento. Il valore aggiunto complessivo si attesterebbe a 43 miliardi di euro, di cui quasi 12 relativi ad investimenti. Significativi anche i benefici sociali, con la creazione di 874.000 nuovi posti di lavoro, di cui 609.000 da attività di raccolta, trasporto, selezione e riciclo, al netto dell’occupazione persa nelle altre modalità di gestione, in primis la discarica. I restanti 265.000 nuovi occupati sono ascrivibili alla costruzione dei nuovi impianti di selezione, compostaggio, riciclo intermedio e termovalorizzazione.
I ricercatori hanno analizzato anche uno scenario “prudente”, più realistico alla luce delle attuali discrepanze a livello europeo, che tiene conto delle differenti situazioni di partenza e valuta in modo più realistico il fabbisogno di infrastrutture per le varie opzioni di trattamento. L’aumento del riciclo e del trattamento del materiale organico, in questo caso, ammonterebbe rispettivamente a 21,2 e 10,8 milioni di tonnellate, mentre il ricorso alla discarica si ridurrebbe di 25 milioni di tonnellate. Il fabbisogno di nuova capacità di termovalorizzazione è invece stimato in 22,3 milioni di tonnellate.
In questo secondo scenario, si avrebbero, in ogni caso, benefici economici per 78 miliardi di euro tra il 2013 al 2020: 21 miliardi per investimenti in impianti di trattamento, riciclo intermedio e smaltimento e i restanti 57 miliardi generati dalle diverse attività lungo la filiera. In questo caso il valore aggiunto si ridurrebbe a 24 miliardi, di cui 7 per gli investimenti, mentre l’occupazione salirebbe di 432.000 unità.
Le attività più interessate dalle ricadute economiche sono quelle della raccolta differenziata, con una quota del 36% o il 34% in funzione dello scenario adottato. Segue il riciclo intermedio, con un peso del 34% nello scenario teorico e del 33% in quello prudente. Rilevante - notano i ricercatori - è anche l’apporto delle attività di selezione dei materiali, con il 20% di ricadute in entrambi gli scenari.
Più contenuto è il volume d’affari aggiuntivo derivante dalla gestione operativa dei termovalorizzatori, a causa dell’elevata intensità di capitale che caratterizza questa tecnologia. Le attività di selezione e riciclo intermedio (cioè esclusa la fabbricazione dei prodotti finiti) sono quelle che creano il maggior valore aggiunto, rispettivamente 45 e 44% nei due scenari.
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