Report ONU affronta l’impatto delle bioplastiche sull’inquinamento degli Oceani. Ma non aggiunge nulla di nuovo al dibattito.
19 novembre 2015 06:23
In occasione del ventesimo anniversario del Global Programme of Action for the Protection of the Marine Environment from Land-based Activities (GPA), coordinato da UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente) è stato presentato il rapporto "Biodegradable Plastics and Marine Litter. Misconceptions, Concerns and Impacts on Marine Environments”, dal quale si evincerebbe che le bioplastiche non sono una risposta all’inquinamento dei mari da rifiuti plastici.
In particolare, si legge nelle conclusioni, “La diffusione di prodotti etichettati biodegradabili non ridurrà in modo significativo il volume di plastiche che finiscono negli oceani o i rischi fisici e chimici per l’ambiente marino”.
In realtà, lo studio considera la biodegradabilità e compostabilità dei manufatti e non la biodegradabilità in ambiente marino, per la quale - al momento - non esistono procedure di prova normalizzate (ISO o CEN, anche se è in fase di pubblicazione una norma ASTM americana), ma ci sono studi in corso, anche in Italia (di cui non viene però fatta menzione nel documento). Rileva infatti - e non stupisce - che la completa degradazione delle bioplastiche avviene in condizioni che normalmente non si verificano in mare, con temperature superiori a 50°C e nell’ambito di impianti di compostaggio industriale o nelle compostiere domestiche. Inoltre, rileva lo studio, il fatto che sia etichettato come biodegradabile potrebbe indurre il consumatore a disperdere il manufatto (imballaggio, sacchetto ecc.) nell’ambiente, peggiorando la situazione.
“Recenti stime dell’UNEP hanno dimostrato che fino a 20 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani di tutto il mondo ogni anno - nota Achim Steiner, direttore esecutivo UNEP -. Una volta in mare, la plastica non scompare, ma si decompone in microparticelle. Questo rapporto mostra non ci esistono soluzioni rapide al problema, ma che serve un approccio più responsabile per la gestione del fine vita dei manufatti in plastica per ridurre il loro impatto su oceani ed ecosistemi”.
Lo studio si sofferma su definizioni e classificazioni, per poi affrontare la biodegradazione in mare delle comuni termoplastiche, di quelle etichettate come biodegradabili (biobased o meno) e di quelle oxodegradabili. Le prime degradano molto lentamente, le seconde si biodegradano in mare, ma con tempi più lunghi rispetto a quelli di compostabilità sulla terraferma, mentre le oxo-biodegradabili tendono a scomporsi in microframmenti, che richiedono poi anni per degradarsi e possono entrare nella catena alimentare della fauna marina.
Nulla di nuovo, insomma.
Scarica il report “Biodegradable Plastics and Marine Litter. Misconceptions, Concerns and Impacts on Marine Environments”
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