martedì 14 settembre 2021
Nel precedente post ho raccontato perché l’emendamento approvato nel Decreto Semplificazioni si propone di aprire la strada all’introduzione di un sistema di deposito cauzionale (Deposit Return System) per i contenitori monouso di bevande, e perché le preoccupazioni espresse dalla GDO e Federdistribuzione siano “ingiustificate” guardando a cosa succede nei paesi membri dove i DRS sono già stati implementati.
Guardando ai sistemi di deposito già in vigore in altri Paesi non è più necessario inventarsi nulla, perché dall’esperienza e dai risultati ottenuti dagli oltre dieci sistemi di deposito in vigore prevalentemente nel nord Europa è già possibile ricavare quali sono gli elementi chiave di cui tenere conto nel disegnare un sistema di deposito moderno e adatto alla nostra realtà.
I Paesi che hanno fatto scuola e ai quali ispirarsi sono quelli scandinavi come Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Islanda, che hanno sistemi di deposito consolidati da decenni. Senza dimenticare l’esempio della Germania, il paese con il numero più alto di utenti: 83 milioni. Oppure della Lituania, dove nel 2016 è entrato in vigore un DRS, dimostrando che anche un paese con un’intercettazione piuttosto modesta per gli imballaggi di bevande (prima del 2016 si raccoglieva solo il 34% delle bottiglie in PET) possa balzare in meno di due anni al 91,9% di intercettazione media per i contenitori di bevande assoggettati al sistema.
GLI ELEMENTI CHIAVE DI UN DRS EFFICACE
Un DRS moderno e capace di raggiungere alti di livelli di raccolta e di riciclo deve avere:
1) una portata nazionale;
2) un valore del deposito sufficientemente alto da incentivare la restituzione da parte dei consumatori;
3) coprire tutte le tipologie di contenitori di bevande (dal vetro, alla plastica, alle lattine);
4) essere facilmente accessibile e adottabile dagli utenti (sistema di conferimento “return-to-retail”).
Il modello di conferimento del riscatto della cauzione che si è dimostrato più efficace e apprezzato nei sondaggi dei paesi che hanno scelto questo modello è quello del ritorno al rivenditore (return-to-retail) di cui ho accennato nel precedente post. Peraltro il più diffuso in Europa perché consente ai consumatori di non cambiare le proprie abitudini di acquisto.
COME FUNZIONA E SI FINANZIA UN DRS
Sono i produttori di bevande a finanziare il sistema attraverso un contributo EPR (Extended producer responsibility) versata per ogni contenitori immessi al consumo. Altre entrate dell’operatore di sistema derivano dalla vendita degli imballaggi venduti ai riciclatori e dal 10% dei depositi non riscattati. Venendo alle caratteristiche dell’operatore di sistema, il modello prevalente in Europa è quello centralizzato in cui un ente no profit, costituito generalmente da produttori e distributori di bevande sovraintende a tutte le attività perseguendo gli obiettivi di raccolta decisi dalla legislazione che ne sancisce l’entrata in vigore. L’operatore di sistema deve poter garantire una gestione trasparente con processi di clearing dei dati e tecnologie di raccolta affidabili.
RACCOLTA DIFFERENZIATA E DRS: CONVIVENZA POSSIBILE ?
Una credenza diffusa soprattutto tra gli Enti locali è che un sistema di deposito per gli imballaggi di bevande possa creare contraccolpi negativi al finanziamento della raccolta differenziata degli imballaggi.
Come prima osservazione, va detto che sono le esperienze internazionali ad avere dimostrato che i sistemi di deposito cauzionale e i sistemi di raccolta differenziata (Rd) come il nostro (regolato dall’Accordo quadro Anci-Conai) sono complementari.
Mentre il sistema Rd continua ad operare per tutti gli imballaggi, il DRS si focalizza su quelli per bevande monouso che sfuggono alla differenziata, senza creare costi aggiuntivi per Comuni e cittadini. Infatti, avere meno rifiuti da gestire per gli enti locali, sia nelle raccolte domiciliari che nei servizi di pulizia stradali (che includono lo svuotamento dei cestini) significa risparmi economici importanti. Condizione che permette loro di rivedere i contratti in essere con i loro gestori dei rifiuti.
Da non dimenticare che un DRS riduce in modo importante la dispersione degli imballaggi nell’ambiente per la cui rimozione i Comuni spendono cifre importanti, a seconda della tipologia di intervento, non rimborsate dal Conai. Per i cittadini infine, un DRS significa avere meno imballaggi da gestire in casa e bollette dei rifiuti più leggere. Il recente rapporto What we waste della piattaforma Reloop ha quantificato in oltre 7 miliardi di unità gli imballaggi per bevande che sfuggono alla raccolta differenziata in Italia.
Un recente studio del laboratorio Ref ricerche ha quantificato in almeno 1 miliardo di euro il costo totale nazionale di gestione dei rifiuti da imballaggio a carico dei Comuni a fronte di 654 milioni di euro di corrispettivi ricevuti dal Conai nel 2020.
Nonostante questa evidenza la prima reazione degli enti locali nei confronti di un DRS è di chiusura, per la paura di perdere gli introiti che arrivano dalla vendita di imballaggi di valore recuperati con la raccolta differenziata. Un timore che però gli stessi Comuni, una volta realizzato come funziona un DRS ed i suoi vantaggi, riconoscono come ingiustificato. Principalmente perché i sistemi di raccolta domiciliari per gli imballaggi –che i Comuni finanziano in larga misura– hanno costi che generalmente superano di gran lunga quanto i Comuni incassano dai consorzi Conai in base ad un Accordo Quadro (Anci -Conai). Il contributo economico definito come “maggiore onere” che un Comune riceve dai consorzi per finanziare la raccolta differenziata degli imballaggi è basato infatti sul peso dei materiali conferiti alle piattaforme Conai, che può venire ulteriormente ridotto dalla presenza di frazione estranea in percentuale (ovvero quegli articoli conferiti che non sono imballaggi). Ad esempio la bacinella e lo spazzolino da denti nel sacco della plastica, oppure la stoviglia in ceramica o lo specchio conferito con gli imballaggi in vetro.
La tesi sulla perdita di imballaggi nobili e preziosi come valore post consumo è confutata dal fatto che i Comuni non vengono remunerati in base alle tipologie di imballaggi conferiti (bottiglie piuttosto che involucri vari, vasetti o vaschette). Prendendo il caso della plastica, le preziose bottiglie in Pet rappresentano una minuscola frazione percentuale degli imballaggi in plastica delle raccolte differenziate.
In conclusione avere meno quantità di imballaggi da gestire per i Comuni, non si riduce solamente all’avere meno costi, ma anche a liberare risorse ed energie che possono essere impiegate nel miglioramento della raccolta di altri flussi di imballaggi e non solo, penso, ad esempio, ai rifiuti da asporto e da commercio online. Ma anche in attività di prevenzione e promozione dei sistemi di riuso che nel nostro Paese stanno a zero, e che invece fornirebbero soluzioni “upstream”, ovvero a monte del problema rifiuti.
IL NUOVO ORIZZONTE DELL’EPR CAMBIA LE CARTE IN TAVOLA
Tornando alla questione dei costi della raccolta differenziata degli imballaggi per i Comuni è evidente che, parallelamente alla scrittura dei decreti attuativi, si dovrà trovare un allineamento con l’attuale normativa ambientale e con il recepimento della direttiva Ue 852/2018 che rivoluzionerà lo scenario attuale.
Entro il gennaio del 2023 l’Italia (il termine per gli Stati membri era il 2024) dovrà istituire regimi di responsabilità estesa del produttore per tutti gli imballaggi conformi all’art.8 e all’art. 8bis della direttiva 2008/98/CE recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 116/2020. Per l’Italia significa passare dal sistema attuale basato sulla “responsabilità condivisa” a una più propriamente “estesa”, ove i produttori sono chiamati a farsi carico dei costi della raccolta differenziata dei propri rifiuti, ai costi del loro trasporto e del trattamento, necessari al raggiungimento dei target di riciclo, alle ulteriori attività necessarie per garantire la raccolta e la comunicazione dei dati, e ad una congrua informazione ai consumatori.
Sono abbastanza convinta che quando i produttori di bevande dovranno coprire anche i costi derivanti dalla dispersione dei loro imballaggi nell’ambiente, come prevede la direttiva SUP, non esiteranno a supportare e scegliere un sistema di deposito.
Anche se non è un’operazione facile comparare sistemi di gestione degli imballaggi diversi tra loro, un documento prodotto dalla piattaforma Reloop (che unisce produttori, distributori, riciclatori, istituzioni accademiche e varie associazioni non governative),intitolato Factsheet: Economic Savings for Municipalities, ha comparato 32 studi internazionali che hanno preso in esame i costi e i benefici seguiti all’adozione di un sistema cauzionale, rilevando che in tutti i casi si sono verificati risparmi consistenti per gli enti locali.
Se poi volessimo considerare anche l’aspetto ambientale su come si profilano i DRS versus i sistemi di raccolta domiciliare è utile precisare che studi Lca hanno quantificato in un -28% le emissioni di CO2 di un DRS per bevande quando comparato ad un sistema di raccolta domiciliare».