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Deposito Cauzionale: in uno studio i vantaggi per l´Italia e il riciclo

lunedì 12 giugno 2023

Nonostante l'opposizione al Regolamento resti ancora un punto fermo nella comunicazione del Governo e di alcuni comparti industriali la Campagna "A Buon Rendere" crede nella necessità di un confronto tra tutti gli stakeholder che giocano un ruolo in un Sistema di Deposito Cauzionale. Per stimolare un dibattito costruttivo presenta il 15 giugno a Milano il suo primo Studio Sistema di deposito cauzionale: quali vantaggi per l´Italia ed il riciclo .

Da quando è stata pubblicata la proposta di Regolamento, sia a livello nazionale che europeo l’Italia ha ribadito il suo fermo "no" con una serie di argomentazione espresse in tutte le possibili occasioni rispetto ad un dossier definito “ideologico” e penalizzante per l’economia del nostro paese in quanto “incentrato sul riuso mentre l’Italia ha investito sul riciclo”.
Comunque sia la narrativa martellante ed estremamente critica verso il regolamento priva di distinguo rispetto alle diverse previsioni di un articolato dossier, non ha favorito ad oggi un dialogo costruttivo tra i diversi stakeholder. In questa polarizzazione delle posizioni, che ha visto contrapposte due strategie di fatto complementari – che creano occupazione nel settore dell’economia circolare – ne ha fatto le spese l’art. 44 che introduce un Sistema di Deposito Cauzionale al 2029. Possono evitare il DRS i Paesi Membri che nei due anni precedenti avessero conseguito in modalità non episodica, il 90% di intercettazione per le bottiglie in plastica e lattine in alluminio per bevande.

Sistema di Deposito Cauzionale non è sinonimo di Vuoto a Rendere

Infatti la comunicazione dei portavoce delle associazioni o del governo – nel paventare effetti negativi per il comparto del riciclo – ha spesso citato il DRS nelle proprie critiche alle previsioni del Regolamento che concernono gli obiettivi di riuso e il vuoto a rendere; mentre in realtà di tratta di previsioni molto diverse tra loro. Il vuoto a rendere è infatti tipicamente una misura volontaria per i produttori di bevande, intesa al riuso e relativa a circuiti interni ad una marca; anche se con il nuovo Regolamento i produttori sarebbero tenuti a perseguire obiettivi di riuso obbligatori per una percentuale minoritaria del loro immesso totale, la cosa è totalmente scollegata dalle previsioni sul DRS.

DRS volano per il riciclo di qualità

In realtà un DRS – (Deposit Refund o Return System) rappresenterebbe un motore potente per un’ottimizzazione del nostro sistema di riciclo in chiave circolare. Recuperare infatti quella quota consistente di imballaggi per bevande che tuttora sfuggono al riciclo con il coinvolgimento del consumatore, non solamente non toglie alcun valore al sistema esistente, ma ne aggiunge.
Il successo del DRS è rappresentato dall’incentivo economico del deposito che mette nelle mani del consumatore la scelta se restituire l’imballaggio vuoto presso un punto di raccolta e recuperare il deposito, o rinunciarvi a beneficio di qualcun altro, in piena attuazione del principio europeo “polluters pay”.
Non serve, nel caso del DRS, altra evidenza scientifica documentale a comprovarne l'efficacia, in quanto abbiamo a già disposizione le esperienze di successo dei 13 Paesi Membri in cui è in vigore Se così non fosse non avremmo altri 11 Paesi che entro il 2025 avranno tale sistema operativo.
A riprova del fatto che non siamo di fronte ad un modello "sperimentale"che funziona solamente nel Nord Europa e in Paesi diversi dall’Italia come orografia, usi e costumi – come si è sentito dire da più parti –  c’è il dato di fatto che siamo davanti all’unico sistema al mondo che ha permesso ad oggi di raggiungere risultati di intercettazione degli imballaggi per bevande ben superiori al 90%.

Tra gli argomenti portati avanti dagli oppositori del Sistema ce ne sono alcuni ricorrenti come il fatto che i Paesi come l’Italia che hanno raggiunto in anticipo gli obiettivi europei di raccolta e riciclo, dovrebbero essere esentati da un DRS obbligatorio; oppure che l'istituzione di tale sistema comporterebbe "un’inutile sovrapposizione di due sistemi e di duplicazione di costi per i consumatori".

Italia sulla buona strada se non fosse per la plastica

In realtà, se è vero che l’Italia è sulla buona strada nel raggiungimento degli obiettivi europei di riciclo e gestione dei rifiuti fissati per il 2025, non è così per quanto riguarda l’obiettivo di riciclo per gli imballaggi in plastica. La Commissione europea ha inviato lo scorso 8 giugno un avvertimento a 18 Stati membri sul rischio di non raggiungere tali obiettivi. “Secondo la valutazione svolta dall’Agenzia europea dell’ambiente, la maggioranza degli Stati membri rischia di non conseguire gli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti urbani per il 2025.
Anche se in buona compagnia l’Italia rientra –  come si legge nel rapporto –  tra i 19 Paesi a rischio di non centrare l’obiettivo del 50% di riciclo al 2025 per gli imballaggi in Plastica. Si tratta di: Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna e Ungheria.
Analizzando la situazione dei paesi coinvolti è interessante notare che la maggior parte di questi Paesi non ha un sistema di deposito cauzionale, oppure l'ha istituito in tempi recenti (Lettonia, Slovacchia e Malta). Tra questi 19 una decina ha già una legge in tal senso, o ha avviato l’iter che istituisce il DRS entro il 2025. Poi ci sono Paesi come la Finlandia o la Danimarca in cui gli ottimi risultati ottenuti dal DRS non bastano a compensare una bassa performance di riciclo per gli imballaggi in plastica che non sono soggetti al DRS.
Questo scenario dimostra che al raggiungimento dell’obiettivo di riciclo complessivo (imballaggi per bevande e non) serve l'azione combinata dei due sistemi EPR che sono complementari e non in antitesi: ovvero dello schema di EPR nazionale per gli imballaggi (PRO Producer Responsability Organizer) e del DRS per gli imballaggi per bevande.

Venendo al punto che in Italia non avremmo bisogno di un DRS essendo già "un'eccellenza del riciclo" non mi dilungo eccessivamente in quanto ne ho scritto sempre qui più volte. Mi limito ad evidenziare perché non possiamo che essere a favore di un DRS:

  • Siamo ancora distanti dagli obiettivi di raccolta (90%) e contenuto riciclato già definiti nella Direttiva sulle Plastiche Monouso, e ripresi nella proposta di Regolamento UE sui Rifiuti da Imballaggio. Non abbiamo evidenze a dimostrare che senza un DRS si arrivi nell’arco di pochi anni ad intercettare oltre il 90% dell’immesso al consumo di imballaggi di bevande.
  • Senza un DRS i produttori di bevande non potranno avere un accesso primario a imballaggi per un riciclo “closed loop”, da bottiglia a bottiglia e da lattina a lattina. Solamente un un sistema di deposito cauzionale può massimizzare l’intercettazione dei materiali migliorandone la qualità. Nel caso del PET, nonostante decenni di sforzi sui sistemi di raccolta differenziata tradizionale, il tasso di riciclo effettivo è attorno al 50%, in realtà rappresentato in massima parte da riciclo di bassa qualità per fare filati. Se i produttori non avranno accesso ai loro imballaggi non potranno perseguire gli obiettivi europei di contenuto riciclato avendo a disposizione materia prima seconda a prezzi calmierati. Ergo continueranno ad impiegare materie vergini peggiorando l’impronta ecologica degli imballaggi.
  • Lo stesso dicasi nel caso del vetro ed alluminio, dove, purtroppo, il "downcycling" fa ancora la parte del leone a discapito della circolarità e dell’economia del riciclo. Nel 2021 abbiamo importato 210.000 tonnellate di rottame di vetro da altri Paesi europei (Austria, Francia e Germania) per soddisfare un incremento della domanda da parte delle aziende. Allo stesso tempo Coreve ha lanciato insieme ad Anci interventi strutturali per circa 10 milioni di euro per intercettare buona parte delle oltre 400.000 tonnellate che, ancora oggi, purtroppo, finiscono in discarica.
  • Ultima considerazione, ma non per importanza, il DRS apporta l'effetto positivo sulla sparizione del littering causato dalla dispersione di tali materiali . I sette miliardi di contenitori che ogni anno sfuggono al riciclo rappresentano un costo ambientale ed economico per i Comuni che hanno la responsabilità della loro gestione e che vengono trasferiti sulle bollette dei rifiuti dei cittadini. Nonostante le molte e costose campagne comunicative finanziate dai Consorzi con il contributo EPR delle aziende il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti non risulta stia migliorando, così come non risulta in miglioramento la qualità delle raccolte differenziate. Infine, siccome questi rifiuti da bevande hanno una marca impressa, quando un produttore di bevande si oppone ad un sistema in grado di influire positivamente sulla dispersione dei propri rifiuti da imballaggio corre il rischio che vengano messe in dubbio dai consumatori le politiche ambientali e sociali che l'impresa dichiara di perseguire.

Quanto costa davvero l’implementazione di un DRS?
Spesso i produttori temono gli elevati costi che richiederebbe l’implementazione di un DRS a livello nazionale. Circolano nel nostro paese delle stime che non trovano conferme con l’ordine degli investimenti compiuti in altri Paesi. Quanto costerebbe l’istituzione di un DRS nel nostro Paese è una delle evidenze contenute nello studio “Il ruolo centrale del Deposito Cauzionale nella circolarità dei materiali” commissionato alla società di consulenza inglese Eunomia dalla Campagna “A Buon Rendere”. La presentazione dello studio che avverrà il 15 giugno presso la Statale di Milano, Aula Lauree di Scienze Politiche in via del Conservatorio 7 (aperta la pubblico previa registrazione scrivendo a: redazione@buonrendere.it) sarà l’occasione per lanciare un call to action alle aziende per invitarle ad aderire alla nostra iniziativa.

Si comincia con due importanti aziende italiane

Le prime aziende ad avere anticipato l’appello che parte dall’evento del 15 giugno sono il Gruppo Aquafil– leader nella ricerca di nuovi modelli produttivi per lo sviluppo sostenibile –  e Acqua Sant’Anna.

 

di: silvia ricci
"Gli articoli in questa sezione non sono opera della redazione ma esprimono le opinioni degli autori"
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