Analisi della trasformazione di PVC in Italia sotto il profilo economico, ambientale e sociale. Per capire se siamo sulla via del declino o dello sviluppo.
2 novembre 2011 06:05
C'è ancora un futuro, e quale, per la filiera del PVC in Italia restata orfana del principale produttore nazionale di questo polimero, dopo la disgregazione di Vinyls Italia? A questa domanda prova a rispondere lo studio che pubblichiamo in anteprima sul Canale PVC, intitolato: "Trasformazione di PVC in Italia: prospettive e crisi mondiale", scritto da Carlo Ciotti (PVC Forum Italia), Paolo Arcelli (Plastic Consult) e Andrea Lupo (Zelian).
Il settore della trasformazione di PVC in Italia ha infatti una sua rilevanza economica e sociale, con un migliaio di aziende che danno lavoro a 44mila addetti, tra diretti e indotto, per un fatturato di 3,5 miliardi di euro e una produzione intorno alle 800mila tonnellate di manufatti. Numeri che ci pongono al secondo posto in Europa, alle spalle della Germania.
Il comparto sconta però delle criticità legate al 'Sistema Italia', a cominciare proprio dallo storico squilibrio tra PVC prodotto nel nostro Paese e resina trasformata, anche prima del recente declino dei poli di Porto Marghera e Porto Torres (Ravenna, invece, sembra destinata a salvarsi). Altri punti di debolezza sono legati alla frammentazione delle imprese, ai limitati investimenti in ricerca e sviluppo, per non dire di quelli in infrastrutture, che insieme alla lenta ripresa dell'attività edilizia e all'elevato costo dell'energia condizionano i consumi di PVC; elementi in parte comuni alla trasformazione di materie plastiche nel suo complesso.
L'industria italiana del PVC non è però condannata al declino, a condizione di investire su innovazione, qualità e ambiente, anche puntando sui marchi volontari e facendo rete al suo interno e con le altre imprese della filiera. Ma è anche necessario un intervento istituzionale per risolvere alcuni nodi strutturali, quali gli elevati costi dell'energia e i costi di produzione legati al sistema paese, dare corpo al concetto di made in Italy come avviene per alcuni prodotti della moda e del design, e fornire ossigeno al settore dell'edilizia e costruzioni, uno dei principali consumatori di manufatti in PVC, con incentivi e investimenti.
Con adeguati sostegni, conclude lo studio, si potrebbe raggiungere un fatturato di 5 miliardi di euro, con una crescita occupazionale di 5mila unità. Si può ancora decidere se imboccare la strada del declino o quella dello sviluppo, ma occorre una politica industriale che guidi e supporti questa scelta. E questa sembra essere la parte più complessa del dilemma.
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